Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Scurati, tante "vite" dall'antifascismo al flop del Pnrr: prima lo Strega poi il green.

Esplora:

Rita Cavallaro
  • a
  • a
  • a

Dal green delle masserie all’evergreen dell’antifascismo: lo scrittore, dopo il successo dello Strega, tenta la società che poi però chiude. E adesso ci riprova con lo spauracchio del fascismo. È una parabola del gettonismo quella di Antonio Scurati, il teorico di M. come Mussolini, asceso al cielo della sinistra per la censura di regime in Rai che non c'è mai stata. Perché a cancellare il suo monologo a «Che sarà» di Serena Bortone non è stato il governo Meloni, ma lo stesso Scurati, che prima avrebbe dovuto apparire in video a titolo gratuito, come dimostra la sigla Tg accanto al suo nome nella lista degli ospiti, inviata alla direzione editoriale approfondimenti. Poi il viciniore del Premio Strega avrebbe chiesto un compenso, 1.800 euro per un minuto di propaganda sul pericolo fascista, e quella richiesta di denaro avrebbe portato alla scelta editoriale di non sborsare denaro. Da qui il polverone, la censura e perfino il piagnisteo per il post della premier, che aveva pubblicato quel monologo sul 25 aprile affinché «gli italiani possano giudicarne il contenuto».

 

 

L’uomo di M. aveva replicato, parlando di «violenza contro di me» e bollando come «falso» l'intervento di Meloni, «sia per ciò che concerne il compenso sia per quel che riguarda l’entità dell’impegno». Un modus agendi, per richiamare quell’idea della giustizia del processo romano, che il vate dell’antifascismo pone in essere, con una certa enfasi, quando gli ideali non raccolgono i giusti frutti, in termini economici. Perché se la Rai «targata» Meloni lo ha censurato pochi giorni fa a fronte di 1.800 euro, lo stesso Scurati, due anni fa, si sarebbe visto estromettere dal governo dai fondi del Pnrr, a cui lo scrittore anelava al punto di aprire una società ad hoc insieme alla moglie Marta Stella. È con lei che, il 3 settembre 2021, si era presentato nello studio del notaio Stefano Fazzari, ad Amalfi, e aveva costituito la società Utopia sas di Marta Stella & C, registrata l’8 settembre, nel giorno dell’armistizio che fece da spartiacque tra il regime di Mussolini e lo slancio alla resistenza. L’azienda agricola di Ravello aveva come attività prevalenti la «coltivazione di fondi, allevamento di animali e lo sviluppo di una filiera agroalimentare sostenibile, nonché l’esercizio di strutture agrituristiche», oltre a finalità fondamentali per il pianeta, come la transizione ecologica. Nell’atto costitutivo erano infatti indicati «interventi atti a prevenire e contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici sui fenomeni di dissesto idrogeologico e sulla vulnerabilità del territorio, anche a mezzo di realizzazione di terrazzamenti e di gestione e recupero delle acque, nonché alla tutela del paesaggio».

 

 

Poi l’elemento fondamentale, scritto nero su bianco nello statuto di Utopia di Scurati e Stella: l’intenzione di accedere ai fondi del Pnrr. «La società si propone di operare prevalentemente nel Mezzogiorno d’Italia e nelle aree svantaggiate, nonché nell'ambito degli obiettivi del programma Next Generation Eu (NGEU) e del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) del 2021: potrà pertanto accedere ad ogni forma di finanziamento, contribuzione o agevolazione prevista dalle vigenti o future normative anche comunitarie a favore delle imprese operanti in detti ambiti». La coppia di scrittori si era data rapidamente da fare, rilevando un fondo rustico sulla costiera Amalfitana, trasformato da serpaio a limonaia e, progetti alla mano, aveva chiesto i fondi europei, per poi scoprire dei vincoli da superare e delle autorizzazioni da ottenere. Così il letterato aveva piagnucolato con il Fai, per il quale Scurati e Stella erano testimonial, raccontando il calvario burocratico dei bandi, «dai quali io, Antonio Scurati, scrittore, ragazzo di città, che decide di mettere i soldini guadagnati con i libri in questa opera di ripristino di un paesaggio storico, sarei normalmente escluso perché non sono un coltivatore diretto e perché non sono un imprenditore agricolo a titolo prevalente». È allora che, sfumata l’Utopia dei fondi Pnrr, alla fine pure l’azienda agricola è «cessata».

Dai blog