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Lilli Gruber, l'affondo di Paragone: quei pistolotti tra La7 e Bilderberg

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Davvero patetica la polemica allestita dalla signora Gruber contro Giorgia Meloni. «Non si può negare che in Italia ci sia una forte cultura patriarcale e che questa destra-destra al potere non la sta proprio contrastando», aveva detto durante la puntata. Una tesi strampalata già dal suo presupposto: «Non si può negare che...», come se le parole della Gruber fossero ispirate dal divino. Ma il compito di un giornalista è circostanziare, puntellare la tesi con gli strumenti del mestiere: sarebbe bastato un breve servizio, una grafica, un qualcosa che irrobustisse l’asserzione. Nulla di tutto questo: il telespettatore della papessa deve credere e obbedire. L’ha detto lei quindi... «Non si può negare che». Diverso sarebbe stato: io credo che...

 

Di contro alla Meloni (prima premier donna, fatto che alle matrone del potere pink dà fastidio) è bastata una sola fotografia, che la ritrae assieme alla mamma, alla nonna e alla piccolissima figlia, per neutralizzare la fesseria della Gruber. «Non so come certe persone trovino il coraggio di strumentalizzare anche le tragedie più orribili pur di attaccare il governo. Io sarei espressione di una cultura patriarcale. Come chiaramente si evince da questa foto che ritrae ben quattro generazioni di "cultura patriarcale" della mia famiglia. Davvero senza parole». Uno a zero. Poteva finire qui, incassando. Invece siccome la Gruber ha più ego che botox (se lei può fare battutine sulla voce di Mario Giordano, io posso farle accennando alle sue punturine di botulino), ha ripreso la polemica, bissando la figuraccia e tirando fuori la difesa del «pensiero libero e critico ben tutelato dalla Costituzione».

 

«Rimane pericoloso, per il buon funzionamento democratico, quando un/una presidente del Consiglio attacca direttamente la stampa e singoli giornalisti». Per poi aggiungere, sempre in trasmissione: «Una o un presidente del Consiglio che attacca direttamente un giornalista, nelle democrazie mature non accade». Buuuummmm!!!! Senti chi parla... Nelle democrazie mature, signora Gruber, i giornalisti non vanno al club Bilderberg come fa puntualmente lei attenendosi al dovere di non divulgare il contenuto di quelle discussioni dove i potenti - quelli veri - discutono della piega che devono prendere le democrazie e le economie globali a botte di finanza rieducativa. Non vanno in quei posti ben frequentati da banche d’affari preoccupate dagli esiti elettorali o, ancor più, che tifano per «l’abolizione delle costituzioni antifasciste che troppo concedono a sindacati e lavoratori» (JpMorgan). Quanto alle porte che si aprono e si chiudono, per un servizio che mandai in onda nella mia trasmissione La Gabbia proprio sul Bilderberg e le misure poco democratiche a protezione degli ospiti (tra cui la stessa Gruber), lei si lamentò con l’editore e si rallegrò quando mi chiusero la trasmissione.

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