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Giulia Cecchettin, David Lazzari: “A scuola servono competenze psicologiche per il benessere dei giovani”

Susanna Novelli
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Un caso che ha sconvolto l’Italia, quello dell’omicidio di Giulia Cecchettin per mano del suo ex findanzato, Filippo Turetta. L’ennesimo femminicidio che pone domande e tanti dubbi sulla mente umana. «Siamo abituati a ragionare in bianco e nero, sano o malato. Ma la maggior parte delle situazioni sfuggono a questa dicotomia», sostiene il presidente dell’Ordine degli psicologi, David Lazzari.

Professor Lazzari, ci troviamo a commentare l’ennesimo femminicidio. La domanda che molti si pongono è di come possa accadere che un uomo “normale” possa a un certo punto trasformarsi in un assassino.
«Lo sviluppo psicologico è la sintesi di molti fattori, non solo apparenti, esterni, ma anche interiori, per costituire e gestire un equilibrio di fondo. Se non c'è adeguata consapevolezza di sé la nostra personalità è fragile e può accadere di non riuscire a gestire la realtà e le emozioni che questa ci scatena».

Il padre di Filippo Turetta lo ha definito “il figlio perfetto” eppure dei segnali forse ci sono stati.
«Non conosco la storia di Filippo e comunque non si possono fare diagnosi o valutazioni a distanza. Posso dire però che nella vita l'obiettivo non è la perfezione ma l'autenticità. Se apparenza e sostanza non vanno insieme allora ci sono problemi».

 



In questa come in altre drammatiche vicende sarebbe forse utile individuare delle responsabilità, forse dei disagi di un giovane sottovalutati ma da chi? Famiglia, scuola, amici?
«Intanto bisogna accettare l'idea che avere problemi, anche di crescita, non è una vergogna. Oggi per fortuna le forme di disagio psicologico sono viste sempre meno come una debolezza soggettiva da tenere nascosta, e sempre più come momenti che possono far parte della vita e vanno affrontati, anche facendosi aiutare quando serve. Il problema però è che la risposta psicologica si trova solo a pagamento. Nella scuola e a fianco dei pediatri e medici di famiglia ancora non ci sono psicologi».

Si parla anche di “educazione affettiva” nelle scuole, uno strumento utile?
«Potenzialmente sì, dipende ovviamente come si fa. Ritengo che i docenti non possono essere lasciati soli, servono competenze psicologiche non solo per sviluppare l'affettività e le relazioni sane ma per fare della scuola un luogo che promuove la crescita psicologica e il benessere».

 



Il Governo e il Parlamento sono ora in prima fila per approvare pene più severe, ma secondo lei, servono?
«Chi sbaglia deve rispondere, questo è un principio fondamentale. In passato la violenza è stata sottovalutata dal punto di vista delle sanzioni. Ma uno Stato intelligente lavora sempre su due piani: punizioni certe ma promozione di tutto quello serve a prevenire, ad evitare, a far crescere una cultura rispettosa dell'altro e delle diversità di genere».

La malattia mentale è spesso un nemico invisibile, quali consigli, soprattutto ai giovanissimi e ai loro genitori per poter intervenire in tempo?
«Spesso non si tratta di malattie mentali ma di fragilità psicologiche, occorre capire questo. Ci sono personalità apparentemente funzionanti ma che invece hanno bisogno di strutturare forme di dipendenza e rapporti malsani per mantenersi in qualche equilibrio. Quando l'altro si allontana l'equilibrio viene meno e si reagisce con la violenza. L'altro in queste situazioni è solo uno strumento usato per mantenersi, e la violenza in genere è insita nella relazione, anche se non sfocia in forme fisiche. Nelle relazioni bisogna cercare l'autenticità e la pari dignità, la relazione vera è dialogo e alleanza, non è una stampella per mantenersi in piedi».

 

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