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Sudan, allarme di Nelli Feroci: “Esodo di massa, Italia a rischio”

Francesca Musacchio
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«SQuello che succede in Sudan è l’ulteriore fallimento di una transazione democratica iniziata nel 2019 con la destituzione di al-Bashir. Oggi questo scontro tra due gruppi di potere rimette in discussione un percorso già molto fragile. È un fatto preoccupante in primo luogo per la popolazione perché si tratta di un Paese molto vasto e povero. E questo tentativo di colpo di stato aggrava ulteriormente la situazione». Ne è convinto Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), a proposito delle possibili conseguenze innescate dallo scontro tra i due generali ai vertici del Consiglio sovrano, il presidente Abdel-Fattah al-Burhan e il vicepresidente filorusso Mohamed Hamdan Dagalo. La rivalità tra i due è sfociata in un tentativo di colpo di stato e ha prodotto scontri e violenza. Al momento il Sudan è nel caos al punto che l’Italia ha evacuato circa 150 connazionali che hanno scelto di lasciare il Paese. 

Tra le conseguenze della guerra civile in Sudan, c’è quello legato all’immigrazione e al flusso che dal Nordafrica arriva in Italia e in Europa. Cosa ne pensa? Gli arrivi sulle nostre coste potrebbero aumentare? 
«Sappiamo che molte rotte utilizzate dai trafficanti di esseri umani passano dal Sudan, che è anche un Paese d’origine, come anche dall’Eritrea e dall’Etiopia. Da qui poi si dirigono verso nord per arrivare alle nostre coste e in Europa. Il rischio di una guerra civile creerà un ulteriore incentivo a lasciare il Paese. È possibile anche che ci sia un fenomeno di immigrazione interna».

Cosa significa e cosa potrebbe comportare?
«La migrazione interna è quella popolazione che dalle città, dove in questo momento di verificano gli scontri più duri, come nella capitale Khartoum, si sposta verso le zone rurali in cerca di luoghi più sicuri. Poi, però, questi flussi potrebbero comunque spostarsi ulteriormente e magari dirigersi verso nord andando ad accrescere la rotta verso l’Europa. Tuttavia, è difficile fare delle previsioni, ma esiste una preoccupazione per Paesi esposti come l’Italia».

 

 

C’è il rischio che quanto accaduto in Sudan possa avere un effetto contagio su altri Paesi limitrofi o nell’area? Potrebbe cioè accadere che altri in altri Stati si verifichino circostanze simili?
«La regione del Sahel oggi è già caratterizzata da fattori destabilizzanti e il Sudan può diventare un ulteriore elemento di contagio. Tuttavia, c’è un ulteriore fattore che dovrebbe indurci a vigilare».

Quale? Su cosa dovremmo vigilare?
«Il generale Mohamed Hamdan Dagalo sta ricevendo sostegno da Wagner. Se questo fosse vero sarebbe l’ulteriore conferma della presenza della Russia in Africa. Dopo Libia, Repubblica Centrafricana, Mali e Burkina-Faso adesso anche in Sudan. E sarebbe una presenza destabilizzante oltre che un segnale molto preoccupante».

Quindi l’ipotesi di coinvolgimento della milizia armata russa in quello che sta succedendo in Sudan è probabile? Questa ipotesi circola dalle prime ore, cioè da quando sono scoppiati gli scontri tra le due fazioni. Quanto è verosimile?
«Non ho dati certi e precisi, ma leggo informazioni accreditate in base alle quali il generale Dagalo ha ricevuto, e sta ricevendo, sostegno da Wagner. Senza questo sostegno non avrebbe messo in moto il meccanismo del colpo di stato».

 

 

Se questo è vero, quale sarebbe l’obiettivo della Russia in Sudan?
«Creare anche in Africa avamposti russi (la Libia è il caso più emblematico) per avere nella regione governi amici e alleati in grado di sostenere la politica di Putin. Si tratta di investimenti a medio termine che hanno sia un profilo economico che diplomatico. Il Sudan, ad esempio, è ricchissimo di oro».

Si spieghi meglio. Quale sarebbe l’obiettivo diplomatico? Si tratta di un messaggio che Putin intende mandare all’Europa e all’Occidente in generale?
«Quella della presenza russa in regioni apparentemente remote è una strategia per creare all’interno del mondo occidentale avamposti e alleanze da utilizzare quando ci sarà bisogno, si veda il sostegno alla Siria di Bashar al-Assad. Ma implicitamente potrebbe anche essere un tentativo di destabilizzare i Paesi occidentali, soprattutto quelli più esposti, provocando importanti flussi migratori. In questo caso, l’Italia sarebbe un Paese in prima linea vista la posizione geografica». 

 

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