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Green deal e lobby, quello scandalo diventato test per l'Europa

Roberto Arditti
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Diciamolo subito, a scanso di equivoci: se ciò di cui parliamo si rivelerà vero per come ci appare oggi, dovremo ammettere di essere di fronte ad uno scandalo assoluto, di quelli tali da imporre un ripensamento profondo sul funzionamento complessivo delle istituzioni europee. I fatti denunciati da un’inchiesta del quotidiano olandese De Telegraaf sono così riassumibili: con fondi pubblici, durante il mandato del commissario socialdemocratico Frans Timmermans l’Unione Europea avrebbe finanziato un nutrito (oltre 180) gruppo di associazioni o gruppi ambientalisti per svolgere attività in sostegno dell’approccio tanto caro alla Commissione dell’epoca, per capirci quello che va sotto il nome di Green Deal Europeo, volto a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 (è il programma che contiene le misure sullo stop alle auto non elettriche), con impatto su moltissimi settori produttivi. Allora qui ci sono tre aspetti inaccettabili sono ogni profilo che debbono essere chiariti.

 

 

Il primo è che l’Europa si fa vanto di rigidissimi protocolli versoi portatori d’interesse, imbrigliati in regole e procedure monumentali per tenerli lontani da ogni indebita interferenza, così da consentire al decisore politico (Parlamento e Commissione) di agire in piena libertà. Ma se adesso scopriamo che il soggetto che dovrebbe essere al riparo da condizionamenti (cioè l’istituzione), finanzia altri soggetti “esterni” affinché agiscano per condizionarlo, allora tutto diventa un tragicomica burla, una farsa in salsa belga che subito però diventa truffa morale, etica, politica. Una roba da Repubblica delle banane, diciamolo chiaro, una storia di sottobosco del potere inguardabile e indifendibile, soprattutto se verrà confermato che tanto i fondi usati quanto i documenti relativi sono stati in qualche modo coperti da riservatezza. E qui arriviamo al secondo punto: ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. A Bruxelles tutti sventolano da mattina a sera la “trasparenza” come virtù suprema dei palazzi, improntati alla certezza sul fatto che anche il più lontano cittadino dell’Unione può esercitare la funzione di controllo. Ma quale trasparenza, se è vero quello che scrivono gli olandesi: qui si è cercato di seppellire le carte “vere” sotto una montagna di scartoffie inutili.

 

 

E poi c’è il botto finale, terzo tragico punto di questa storia. Emerge dalla denuncia di molte organizzazioni in queste ore (la Coldiretti in Italia, per citarne una) che ripetono ora quello che hanno sempre detto: quel Green Deal era il piano ben congegnato di alcuni per fregare altri, non il candido progetto di chi lotta per un mondo migliore. Si battano i parlamentari italiani per arrivare alla verità, lo faccia anche il commissario Raffaele Fitto. Ma soprattutto dimostri di essere all’altezza del compito Ursula von der Leyen: lei chieda e ottenga chiarezza fino all’ultimo euro impiegato. Se non lo farà, vorrà dire che è complice di questa schifezza, sempre che questa “storiaccia" si riveli autentica. Stay tuned.

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