
Separazione delle carriere, la volta buona per riscattare la democrazia

A trent’anni dalla fine della Prima Repubblica e a 25 dalla morte di Bettino Craxi, quel Parlamento ipocrita che fece finta di avere trovato il nemico e il simbolo del male per prendere il suo posto alla guida del Paese approva la separazione delle carriere. Un primo, piccolo passo che ci mostra per prima cosa che la giustizia in Italia può essere migliorata e riformata, non è un tabù, è un diritto costituzionale di chi rappresenta la nazione. E secondo che è un tributo a una ferita irrisolta della nostra storia politica, l’esilio di Craxi, che vale molto più di quella surreale proposta di funerali di Stato che arrivò dal leader della stessa sinistra che aveva lucrato su Tangentopoli e sul suo imputato più eccellente.
È curioso che l’unico grande leader della sinistra atlantica italiana, l’ultimo segretario del Psi, avesse come parole d’ordine cinque cavalli di battaglia del governo Meloni: la patria, il tricolore, il made in Italy, l’autonomia e un certo proto-sovranismo che poneva condizioni a Europa e Usa, proprio perché non ne discuteva l’alleanza. E se la destra ripete che questa riforma appena avviata sia il lascito di Berlusconi, forse pensandoci meglio è la rivincita di Craxi.
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