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L'Europa può imparare da Israele

Roberto Arditti
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Mentre la sinistra europea (ed italiana!) alimenta con parole utili come i ghiaccioli al Polo Nord il dibattito sulla richiesta di arresto della Procura della Corte Penale Internazionale, Bibi Netanyahu mette a terra un accordo di tregua in Libano, certamente precario e valido per soli 60 giorni, ma non per questo di poco conto: ora vediamo perché. Innanzitutto così Israele mostra anche il suo lato dialogante, dopo aver chiarito al mondo che sul versante della reazione «dura» non ha lezioni da prendere da nessuno (e noi europei dovremmo chiedere proprio ad Israele di spiegarci come si fa, prima che sia troppo tardi). Anche perché c’è un tema oggettivo di sostenibilità dell’azione militare continua su più fronti, come ammesso dalla stesso Primo Ministro nel discorso televisivo di martedì sera. Ma ciò che più conta di questa «tregua» è sintetizzabile in pochi (tre) elementi.

 

 

In primo luogo Netanyahu ottiene il risultato storico (non c’è esagerazione) di separare Hezbollah da Hamas (che per anni hanno detto che non sarebbe mai accaduto: l’accordo vale per il sud del Libano ma non per Gaza). Ciò rappresenta una cocente sconfitta per l’Iran, che deve accettare che il suo alleato libanese scende a patti con l’odiato avversario. Ancora più importante è il risultato verso i principali attori della scena internazionale, segnatamente Usa, Onu, Ue e così via. L’accordo ricalca la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite e incarica della pace Unifil (il contingente dispiegato a sud del fiume Litani sin qui totalmente inutile) in raccordo con l’esercito libanese (che da quella parti non si vede da anni), aggiungendo però la supervisione di Stati Uniti e Francia (d’altronde la difesa europea è allo stato roba buona per i convegni): quindi non c’è «trippa per gatti», adesso Onu, forze armate libanesi ed emissari di Washington e Parigi devono rimboccarsi le maniche (militari italiani compresi) e far rispettare le regole, prima fra tutti quella del ritiro di Hezbollah a nord del fiume (30 chilometri dal confine con Israele), elemento essenziale per far tornare le famiglie nelle proprie case. È chiaro cosa vuol dire? Vuol dire che le attività militari e terroristiche di Hezbollah dovranno essere contrastate da questo dispositivo internazionale, pena la fine della tregua. E dovranno farlo armi in pugno, le chiacchiere stanno a zero.

 

 

Il terzo ed ultimo punto è tutto politico, ma vale tanto oro quanto pesa. Nel comunicato ufficiale dell’Eliseo si legge che la Francia rispetta gli accordi di Roma sulla Corte Penale Internazionale, ma ribadisce amicizia forte con Israele e, soprattutto, ricorda che l’applicazione del mandato di arresto verso nazioni che non riconoscono la Corte va approfondita: esattamente la condizione di Israele. Insomma un giro di parole per dire che quell’arresto non verrà mai eseguito. Diciamo che Bibi è un professionista, di quelli bravi.

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