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In Medio Oriente nulla è come sembra

Roberto Arditti
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Regola fondamentale per tentare di capire qualcosa del Medio Oriente: nulla è come sembra. Ecco allora il Primo Ministro d’Israele Bibi Netanyahu sulla spiaggia di Gaza, alla fine del Corridoio Netzarim (la striscia di terra battuta preparata dai bulldozer che taglia in due i Territori Palestinesi, rendendo difficili le operazioni di Hamas e separando le due più importanti città della striscia, che sono Khan Yunis e Gaza): in apparenza una prova di forza assoluta. In realtà nella parole del premier («mai più lasceremo il controllo militare e di intelligence, mai più permetteremo un nuovo 7 ottobre») c’è anche (o forse soprattutto) l’ammissione di un tragico fallimento, quello del 2005, quello della decisione di Sharon di abbandonare la striscia lasciandola all’Anp, cui presto subentra Hamas che prima vince le elezioni ma subito dopo effettua un colpo di Stato uccidendo tutti gli oppositori. Tutto torna nella scena in diretta TV di Netanyahu con accanto il nuovo Ministro della Difesa, il fedelissimo Israel Katz, originario di Ashkelon, località vicina alla Striscia che è da oltre un anno è una città fantasma, perché tutti gli abitanti si sono spostati in zone più sicure.

 

 

Tutto torna perché in quella scena c’è in carne ed ossa l’angoscia delle democrazie occidentali davanti alle tragiche curve della storia, quell’angoscia che ci porta sempre a cercare un «rattoppo» alle crisi, un rinvio, un ultimo tentativo diplomatico o politico. Purtroppo però questo modo di fare fallisce pressoché sempre lasciando al nemico la possibilità di organizzarsi meglio per colpire. Israele lascia Gaza e 18 anni dopo subisce il più spaventoso attacco della sua storia, con 1400 morti e 100 ostaggi ancora nelle mani dei macellai di Hamas, metà dei quali certamente morti (parole di Netanyahu): ma i terroristi fanatici, i veri nemici mortali del popolo palestinese, nemmeno riescono a decidere di restituire i corpi (probabilmente per non mostrare gli orrori compiuti).

 

 

L’Occidente lascia Kabul e oggi l’Afghanistan è tornato alle specialità dei macellai locali, i sedicenti «studenti» Talebani che conoscono solo due attività redditizie. Il traffico internazionale di droga (arma ibrida puntata contro le democrazie) e l’ospitalità incondizionata per ogni tipo di organizzazione terroristica di matrice islamica, come ben sanno tutte le più informate agenzia di intelligence: la situazione è forse anche peggiore di quella del 2001, perché stavolta Cina e Russia sono con i Talebani. Potremmo continuare, ma il messaggio è chiaro. Non c’è spazio per balletti diplomatici in questo scorcio di secolo. Putin, a capo di una nazione disastrata ed infelice sotto ogni profilo, giganteggia sull’uso spregiudicato della forza. Noi pensiamo di tenerlo a bada con una telefonata, alla Scholz. Illusi della peggior specie.

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