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La distanza tra il Paese di Chiara Ferragni e quello di Roberto licenziato dal supermercato

Gianluigi Paragone
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«Mi scuso per quanto accaduto», racconta Roberto. «Sono consapevole dell’errore commesso. Vivo una situazione privata ed economica ai limite del sostenibile, che non giustifica quanto accaduto ma mi ha portato a commettere quanto contestato». E si scusa anche Chiara, per avere creato un po’ di confusione tra beneficenza e vendita di prodotti. Ma quanto odio, signora mia: «Sono imperfetta anche io ma sempre in buona fede. Ho avuto un successo più grande di quello che sognavo. Ora mi sento fragile però faccio fatica a raccontarlo». Tranquilli, supererà la fatica e si racconterà così tante volte che le sue parole ci usciranno dalle orecchie. Roberto non ha avuto il successo di Chiara e fa fatica anch’egli a raccontare che è stato licenziato dal supermercato dove lavorava a Torino per avere rubato sei uova e una scamorza, valore complessivo poco superiore a 7 euro. Sette euro e cinque centesimi per la precisione. Fa fatica perché è stato licenziato come un ladro.

 

Quant’è distante l’Italia di Roberto e di Chiara. Roberto tra l’altro nemmeno si chiama Roberto ed è uno dei tanti invisibili che annaspano nella vita a rate che la modernità ci ha costruito attorno. Chiara invece di cognome fa Ferragni e per questo il Corriere della Sera le dedica due pagine e due giornalisti come si fa coi grandi leader. Forse è l’inizio di un tour di comunicazione per rifarsi l’immagine mentre le procure indagano su alcune pratiche commerciali mischiate con quei buoni sentimenti che evidentemente sui social tirano parecchio. Di buoni sentimenti, invece, il supermercato che ha licenziato Roberto non deve averne molti. Anzi a leggere la lettera di licenziamento viene rabbia per la freddezza delle parole e per l’ingiustizia che ha subito l’ex dipendente, «35 anni di servizio e mai un richiamo» dice il sindacato che ne ha preso le difese. Ah, se ci fosse un rapper a raccontare queste storie di periferie italiana, dove il più debole soccombe e deve stare pure zitto.

 

Però certe storie non si vedono dall’alto dei Boschi verticali o dai jet privati che si prendono per andare a Sanremo. Storie di mutui e spese sanitarie per far fronte «alle quali il mio stipendio si è rivelato insufficient». «Ho sbagliato e chiedo scusa», ribadisce. «Faremo ricorso», non demordono dalla Cisl. Chi invece pare voglia andar dritto è il datore di lavoro. «Appare particolarmente grave che Lei abbia deliberatamente prelevato dagli scaffali di vendita alcune referenze per un valore complessivo di 7,05 euro e sia poi uscito dal negozio senza provvedere al pagamento delle stesse. Con la presente le comunichiamo la risoluzione del rapporto di lavoro». Un licenziamento a soli quattro anni dalla pensione, comunicato con il distacco dei soliti tempi moderni. Come se le persone fossero dei robot o degli algoritmi che si possono spegnere al pari delle casse automatiche che intanto mandano a casa i lavoratori in carne e ossa. Si chiama progresso, dicono. Quando sei sulla cima il mondo è diverso, si sa. Ma lo è anche quando si frana giù a valle: Roberto e Chiara rimarranno distanti.

 

Perché Chiara ha le giuste referenze e un notevole budget per spiegare, chiarire e ripartire. I Roberto invece dovranno faticare per riavere un briciolo di quella dignità che gli è stata tolta con leggerezza e disumanità.

Domando: l’Italia di Chiara e Roberto è condannata ad allargarsi sempre di più oppure possiamo aiutarla quel tanto che basta a recuperarne l’umanità?

Ps. Lo ammetto, questo pezzo trasuda di ciò che un tempo a sinistra si chiamava «lotta di classe» e che ora più sbrigativamente definirei «mondo di me**a».

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