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Chirico e la sindrome regressiva del Pd: più riformismo e meno ideologia

Annalisa Chirico
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Se si volesse dare un sommesso consiglio al segretario Pd Elly Schlein che ieri ha chiamato a raccolta il popolo della sinistra con lo slogan «per la giustizia sociale e per la pace», il consiglio (non richiesto, s’intende) sarebbe il seguente: più riformismo, meno ideologia. Negli ultimi giorni il Pd è sembrato affetto da una pericolosa sindrome regressiva: ideologia pura contro il patto Italia-Albania, ideologia purissima contro la proposta governativa di premierato. Sul primo: autorevoli esponenti del partito guidato da Schlein hanno chiesto l’espulsione del premier albanese Edi Rama, con due effetti paradossali. Un esponente socialista, peraltro leader di un Paese (ancora) non Ue, tende la mano all’Italia di Giorgia Meloni e si ritrova bersagliato dagli stessi colleghi progressisti che solidarizzano invece con il leader della destra albanese (indagato per corruzione e screditato in patria). Per la cronaca, va detto che la richiesta di espulsione è stata semplicemente ignorata dal Pse. Il patto Italia - Albania per la esternalizzazione della gestione dei migranti ricalca la medesima logica del piano annunciato, pochi giorni or sono, dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, anch’egli socialdemocratico e probabile target della prossima censura di «indegnità» da parte dei maggiorenti Pd. Peraltro, come ha notato Nicola Porro, il primissimo esempio di delocalizzazione lo ha messo in atto l’Ue incaricando la Turchia di farsi carico dei migranti lungo la rotta balcanica (a suon di miliardi).

 

 

In attesa di collezionare l’ennesima figuraccia, il Pd farebbe meglio a considerare l’ipotesi di muovere critiche ragionate e argomentate, di elaborare proposte migliorative ove possibile, anziché gettare la croce su un governo che, nel bene o nel male, batte ogni strada possibile per arginare un fenomeno epocale. Sulla gestione dei migranti servirebbe un approccio più pragmatico e collaborativo, se non si vuole passare per campioni di disfattismo. Sul premierato le cose non vanno meglio: la proposta governativa può essere ritenuta carente, sbagliata, ma un’opposizione matura dovrebbe muoversi nel solco di un orizzonte riformatore. A che servono le barricate contro l’elezione diretta del premier? Il governo non propone di smantellare il Parlamento ma di consentire ai cittadini di scegliere da chi essere governati, un’idea che non appare blasfema in un Paese che solo negli ultimi dieci anni ha visto alternarsi premier più o meno «tecnici», in ogni caso privi di una chiara legittimazione popolare. La strenua opposizione del Pd rischia di apparire l’ennesimo paradosso per un partito che si chiama «democratico».

 

 

Che cosa inquieta i vertici Pd rispetto all’ipotesi che i cittadini scelgano il presidente del Consiglio? Restituire peso e valore al voto popolare non può essere considerato un oltraggio. A giudizio di chi scrive, diversi punti non funzionano nella proposta del governo (mi riferisco, per esempio, alla figura del premier «supplente» dotato di un potere deterrente maggiore rispetto al premier eletto, nonché alla mancata previsione del potere di revoca dei ministri in capo al premier). Tuttavia il principale partito di opposizione è chiamato a confrontarsi nel merito, a suon di emendamenti e controproposte, tanto più che l’iter parlamentare lo consente, anziché limitarsi a un arroccamento pregiudiziale. Il messaggio che arriva agli italiani è fin troppo chiaro: niente elezione diretta, voi votate e noi governiamo. Del resto, dal 2011 in poi il Pd ha governato quasi ininterrottamente, senza aver mai vinto le elezioni. A voi pare «democratico»?

 

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