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La Turchia usa i migranti come arma di ricatto con l'Europa

Riccardo Mazzoni
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Dopo l'accordo siglato nel 2016, la Turchia ha ottenuto dall'Ue più di sei miliardi di euro per fermare la rotta balcanica, ma ha sempre usato i migranti come arma impropria di ricatto nei confronti dell'Europa. Da più di un anno, dopo il ritorno dei talebani in Afghanistan e la mancata stabilizzazione della crisi siriana, le politiche di respingimento operate dalla Grecia hanno alimentato i traffici degli scafisti sulla rotta ionica: nel 2022 in Calabria e in Puglia si sono registrati 18 mila arrivi, con un 108% in più, all'inizio del 2023 gli sbarchi lungo questa tratta sono già aumentati del 164% e dopo il disastroso terremoto di febbraio in Turchia e Siria c'è da aspettarsi un nuovo aumento esponenziale dei flussi migratori. Più che un'emergenza, dunque, un fenomeno strutturale. Facciamo un passo indietro: i profili giuridici dell’accordo Ue-Turchia si basavano essenzialmente sul blocco delle frontiere, con l'obiettivo di impedire l'arrivo di altri milioni di migranti in Germania, in Austria e nei Paesi dell’Est, dove sono stati anche alzati muri per proteggere i confini. Mentre nulla veniva fatto per arginare la rotta mediterranea lasciando sola l'Italia, prevalse insomma la realpolitik di un’Europa divisa che scelse di delegare la gestione dei profughi siriani a Erdogan pur sapendo che il sistema d’asilo turco non soddisfa nessuno dei requisiti umanitari previsti dal diritto internazionale.

 

 

Quando Erdogan annunciò di non voler più rispettare l'accordo per avere il via libera militare in Siria, i massimi vertici dell’Unione si precipitarono a Kastianes affermando che «il confine greco è anche il confine europeo», con la presidente von der Leyen che lo definì enfaticamente «il nostro scudo», assicurando alla Grecia il supporto di mezzi militari, soldati e la mobilitazione attiva di Frontex, l’agenzia europea di protezione militare. Successivamente, il governo di Ankara ha più volte contestato i comportamenti di Atene, denunciando le navi della guardia costiera greca che fermano i migranti in arrivo dalla Turchia e li lasciano in balia del mar Egeo: secondo i guardiacoste turche nel 2022 in oltre 18mila sono stati bloccati dalla Grecia. «Quando ci sono respingimenti, le navi che vanno nel mare Egeo virano la loro rotta verso l'Italia», disse il ministro dell'Interno turco Soylu già alla fine del 2021, facendo sapere che quell'anno Ankara era riuscita a bloccare 8.000 migranti diretti in Italia. Ma mentre la Grecia ha sempre potuto contare sul sostegno della Commissione europea, quando la politica dei respingimenti è stata anche solo annunciata dai governi italiani, da Bruxelles sono giunti richiami senza sconti e denunce sulla violazione del diritto internazionale: le chiusure greche della rotta balcanica sono dunque considerate un «legittimo scudo» per difendere i confini europei, la stretta sui flussi migratori dal Mediterraneo invece no, in nome di una evidente doppiezza comunitaria.

 

 

Ora, sull'onda emotiva della tragedia di Cutro, in cui la concordanza della Commissione col governo italiano sembra essere senza riserve, la lettera della presidente von der Leyen potrebbe aprire uno scenario nuovo, con l'impegno a fermare le partenze dei migranti economici attraverso una guerra senza quartiere ai trafficanti di uomini, lo stanziamento di 500 milioni di euro e l'impegno a redistribuire in Europa 50 mila migranti grazie a nuovi corridoi umanitari. Una promessa che però, realisticamente, potrebbe essere ancora una volta vanificata dalle resistenze dei partner dell'Unione. Questa volta però l'Europa non può voltarsi dall'altra parte: chi arriva dalla rotta turca sta infatti fuggendo da scenari drammatici di guerra e privazione dei diritti umani, persone disperate che meritano protezione. Dal consiglio dei ministri di oggi a Cutro il governo italiano varerà una linea di grande responsabilità fra pugno duro nei confronti degli scafisti e rafforzamento delle misure di accoglienza degli immigrati regolari. Ma nessuno può farcela da solo, come ha detto il portavoce del segretario generale dell'Onu, chiedendo a tutti di mostrare una solidarietà nei fatti al nostro Paese.

 

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