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Messina Denaro, luci e ombre sull'arresto del boss. Qual è la verità

Gianluigi Paragone
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Accettare la doppia lettura dell’arresto dell’ex boss Matteo Messina Denaro non significa derubricare il lavoro degli investigatori o sminuirne la portata. Anzi. Nessuno oserebbe mettere in discussione una professionalità acquisita nel tempo e riconosciuta a livello internazionale. È noto infatti che le intelligence di carabinieri, polizia e guardia di finanza si sono affinate in tempi lunghi e difficili, dalla lotta alle organizzazioni mafiose a quella legata alla lunga e tormentata stagione del terrorismo. Il risultato di tale contrasto ha portato le nostre forze armate a godere della stima di colleghi in ogni angolo del mondo dove si combatte con fenomeni analoghi. Pertanto nessuno vuole mettere in discussione il successo dell’operazione condotta dai reparti speciali dell’Arma.

Tuttavia nella stessa stagione in cui l’Italia era impegnata a fronteggiare mafia, camorra, ‘ndrangheta ovvero il terrorismo della lotta armata negli annidi piombo oppure ancora gli intrecci malavitosi di bande innervate nel cuore del potere (penso alla Banda della Magliana), in quegli anni dicevamo le ombre si sono allungate negli stessi palazzi dove persone oneste mettevano a repentaglio la loro stessa vita a favore della Legge e del Bene. È in queste nebbie che è cresciuto il mostro dei doppi livelli, delle trattative, delle collusioni e delle connivenze. L’Italia che oggi mette assieme alcuni pezzi per interpretare l’arresto del super latitante è la stessa a cui avevano fatto credere strane storie tuttora mai del tutto chiarite: Ustica, le varie stragi, la ragnatela che partecipò al rapimento e poi all’uccisione di Aldo Moro, e lo stesso caso Orlandi tanto per citare alcuni buchi di verità.

Ascoltare le parole (profetiche?) di Salvatore Baiardo, ex prestanome dei fratelli Graviano, affidate a Massimo Giletti in una intervista che anticipava alcuni elementi di cui oggi abbiamo certezza non può essere liquidata come complottismo o cose simili: quelle dichiarazioni avevano un senso prima dell’arresto e ce l’hanno anche adesso che sappiamo delle gravi condizioni di salute dell’ex boss. Ecco perché la doppia lettura di chi oggi sia Messina Denaro è giusto farla e tenerla viva: era solo un vecchio simbolo o era ancora un boss che teneva assieme le famiglie mafiose? Anche arrestare un simbolo - sia chiaro - resta fondamentale nei fatti e nella strategia di contrasto, pur tuttavia la domanda sta in piedi: che boss può essere un uomo cui potrebbero restare due anni di vita?

E ancora: nel classico bilanciamento «costi/benefici» quanto poteva valere la «auto-consegna» da parte dello stesso super latitante o il tradimento da parte delle nuove leve di un boss ormai dimezzato, rispettato per quello che fu (inquietante ma tremendamente reale il giudizio del sentire comune di una terra dove tenere la bocca chiusa equivale a vivere senza problemi) ma non per quello che è? La sostituzione della leadership si stava già materializzando pertanto poteva convenire consegnare un simbolo e trattare. Non sarebbe la prima volta, del resto, che Cosa Nostra avanza delle pretese rispetto a ciò che rallenta il suo operato: i drammatici attentati ai magistrati o ai beni culturali rientravano perfettamente nella strategia mafiosa rispetto al suo antagonista. Stato e anti-Stato hanno sempre comunicato, e questo lo sappiamo dai racconti di pentiti pesanti, su tutti quello di Tommaso Buscetta.

Nell’intervista a Giletti, Salvatore Baiardo gioca a carte scoperte e rivela uno scenario che si è mostrato vero. Che lo scambio di messaggi poi vada a dama è un passaggio successivo e dovranno essere le Istituzioni a dimostrare l’intransigenza sferrando i suoi colpi da ko. Lo ripeto: è stato lo Stato stesso a infittire la visibilità della Verità prestandosi a troppe versioni dei fatti. Pertanto se i cittadini hanno dubbi è per la genesi di quelle stagioni dove ai successi investigativi si accavallavano i misteri. Misteri che restano. Trent’anni di latitanza pressoché indisturbati solidificano le perplessità: possibile che nessuno sapesse? Che nessuno fosse intervenuto prima? Che nessuno parlasse e venisse ascoltato? Un ex boss con un tumore in fase terminale parlerà o depisterà? Non c’è né complottismo né banalizzazione dell’arresto, c’è solo - forse - l’ennesimo urlo nel deserto di una comunità che vorrebbe conoscere fino in fondo la verità dopo tanti anni di depistaggio, silenzi e connivenze.

Con l’arresto di Messina Denaro ci potrebbe essere una occasione importante per fare chiarezza sullo stato di salute della democrazia italiana e di alcuni suoi pezzi (tra i quali il controllo della Sanità, visto che prima o poi anche i mafiosi devono fare i conti con la salute) che fingono di non sapere e coprono. Lo sfruttiamo o saremo costretti ancora una volta ad ascoltare la migliore versione possibile dei fatti? Chi ha coperto l’ex boss? A chi era utile la sua lunga e indisturbata latitanza? 

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