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Fate fuori i mercanti dal tempio dell'Europa

Gianfranco Ferroni
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Sbaglia di grosso chi pensa che lo scandalo europeo, che ha il suo epicentro a Bruxelles, sia finito. Giorgia Meloni, come presidente del Consiglio, durante la conferenza stampa di fine anno con arguzia lo ha definito «socialist job»: e rischia di riservare altre sorprese. Sono ancora pochi quelli che gridano «fuori i mercanti dal tempio», ma una seria riflessione toccherà farla, e nei think tank se ne discute. Innanzitutto, si sottolineare che la massima istituzione europea ha bisogno di essere «resettata» al più presto, senza attendere la fine naturale della legislatura. Quindi, toccherà mettere dei paletti alle attività degli ex eurodeputati, che scorrazzano liberamente senza incontrare i limiti ai quali sono soggetti, invece, i lobbisti delle aziende e dei gruppi d'interesse economici.

 

 

Infine, appare urgente un monitoraggio delle attività svolte a Bruxelles dai diplomatici degli stati che non fanno parte dell'Europa: la storiaccia svela infatti che i grandi corruttori sono le nazioni extra Ue che vogliono influenzare le decisioni degli organismi continentali. Mentre tutti puntano il dito sui privati, accusati di essere sempre dei malfattori pronti a mettere mano al portafogli per bloccare le eurodecisioni, quando invece gli imprenditori sono costretti a spendere milioni di euro per pagare i consulenti solo per riuscire a capire quali regole bizzarre partoriscono gli eurofunzionari, ecco apparire gli stati, i veri protagonisti della stagione delle mazzette ai politici della sinistra. Ormai anche a sinistra ammettono, tra i parlamentari perbene, che «non si finirà mai di dire grazie al magistrato belga Michel Claise, capace di abbattere il sistema delle tangenti».

 

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