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Giorgia Meloni maratoneta, ora pure l'opposizione dovrà evolversi

Gianfranco Ferroni
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Il governo di Giorgia Meloni sta già costringendo l'opposizione a evolversi. Chi aspettava un inizio arrembante ha sbagliato i calcoli ed è rimasto deluso: i toni sono quelli di chi ha condotto una lunga marcia per arrivare alla guida del Paese, e avendo un passato politico ricco di esperienze. Ecco così che il primo ad aver capito che occorre modificare la rotta è il Pd: dopo gli inevitabili scivoloni causati dalla permanenza di Letta al vertice, la solida realtà che è nata quando ancora esisteva il Pci ha mosso le sue ponderate iniziative. L'esempio lampante è la candidatura di Stefano Bonaccini, governatore pragmatico. Sembra un paradosso, ma l'ascesa a Palazzo Chigi potrà solo migliorare l'assetto del principale partito della tradizione della sinistra. E inevitabilmente non potrà non coinvolgere anche i pentastellati, in un «effetto a catena».

 

 

L'idea principale è quella di costruire un partito fortemente radicato nel territorio, di certo «non liquido», dove le regioni e gli enti locali in generale assumono un ruolo propulsore nel far nascere le idee del futuro. «Basta con i professori universitari, specialmente quelli che vengono dall'estero», dicono a bassa voce al Nazareno, e ogni riferimento a Letta è puramente casuale. «Ci vogliono presenze certe, rassicuranti, che uniscono alla dialettica anche la capacità di raggiungere risultati tangibili, quotidiani», è quello che si sente ripetere dalla dirigenza piddina.

 

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