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Laura Boldrini cacciata dalla manifestazione: cortocircuito femminista

Andrea Amata
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L'ex presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, è stata contestata dalle militanti del movimento femminista «Non una di meno» durante la manifestazione romana in difesa del diritto all'aborto. La vestale del politicamente corretto, che si è contraddistinta per campagne oziose e risibili, è stata respinta da una piazza di cui si riteneva erroneamente paladina.

La memoria ci soccorre ad elencare le «titaniche» battaglie di matrice boldriniana: l'avversità ai detti popolari sulle donne, la contrarietà alle pentoline e alle Barbie con cui le bambine si svagano e i diktat linguistici tesi a storpiare la lessicografia italiana in nome della parità di genere con l'ossessione delle desinenze al femminile.

 

Tali «impegnative» lotte si possono annoverare nell'antologia del «pleonasticamente corretto», che assimila una sorta di ricettario del superfluo ammantato da speciose virtù. La disparità di genere esiste e occorre intervenire per ridurne la grandezza, ma le tormentanti discussioni sulla declinazione dei sostantivi che indicano mestieri rischiano di ridicolizzare criticità effettivamente esistenti.

La Boldrini esemplifica la contraddizione di chi impugna e agita il tema dei diritti delle donne, partendo dal cavillo linguistico, e ne svilisce la sostanza. Tuttavia, l'intimazione rivolta a Laura Boldrini di andarsene dalla piazza, che raccoglieva le manifestanti della giornata mondiale dell'aborto libero, sicuro e gratuito, rappresenta il cortocircuito del femminismo che nell'atto di rivendicare diritti per le donne tenta di negare a una di loro il diritto di manifestare - «Se ne vada da questa piazza, non rappresentate la nostra rivendicazione».

 

Un'ulteriore anomalia si registra nei movimenti femministi di stampo progressista che rinunciano a scendere in piazza per solidarizzare con la protesta delle giovani iraniane, che con coraggio stanno reagendo alla tirannia dell'ayatollah Khamenei. In Iran la morte della studentessa Mahsa Amini per mano della polizia morale di Teheran, che arrestò la ragazza perché non indossava correttamente il velo, sta provocando una rivolta di massa. Il regime teocratico iraniano obbliga ad indossare lo hijab, prevede la lapidazione delle adultere e la privazione di ogni diritto per le donne. La mortificazione delle donne iraniane e la loro subordinazione violenta ad un triviale retaggio teocratico dovrebbe generare l'indignazione delle femministe nostrane, che potrebbero esprimere una voce di sostegno all'audacia della sfida al regime degli ayatollah. In Iran la rivoluzione è donna e non è questione di asterischi o desinenze.

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