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L'ultima follia di Conte è evocare la guerra civile contro Meloni: M5S alla deriva

Riccardo Mazzoni
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L'ultima frontiera della resistibile escalation di Giuseppe Conte è la guerra civile. Non è uno scherzo: l'avvocato del popolo, forse ignaro che le parole spesso diventano pietre e sono micce in grado di appiccare incendi imprevisti, sta portando l'originario estremismo grillino addirittura oltre il mantra originario dei «vaffa» per archiviare definitivamente la stagione istituzionale - di cui era peraltro stato l'interprete principale- ed alzare lo scontro a livelli incompatibili con una campagna elettorale da Paese normale. Accaparrandosi la bandiera della difesa dei poveri, Conte in realtà sta facendo uno spregiudicato calcolo elettoralistico, e mettendo nel mirino Giorgia Meloni che vuol giustamente ridimensionare il reddito di cittadinanza, cavalca in realtà i sondaggi che registrano una crescita del Cinque Stelle solo al Sud, dove i percettori del sussidio sono milioni e promettono quindi di garantirgli un cospicuo dividendo elettorale. Dietro i fumi delle barricate prefigurate dall'ex premier se vincerà il centrodestra si nasconde insomma qualcosa di molto distante da una battaglia fondata su un ideale, ma solo il rilancio di uno strumento che da identitario si è trasformato nell'ultimo moltiplicatore clientelare di un consenso logorato da una legislatura passata al governo, che ha mostrato tutti i limiti di una rivoluzione affossata dall'incompetenza e dal trasformismo.

 

 

La metamorfosi di Conte, però, non è sorprendente: divenuto premier per grazia ricevuta, quando ha dovuto passare la campanella di presidente del consiglio a Draghi lo ha fatto col rancore di chi riteneva di essere stato privato, a causa di una congiura, di un ruolo scambiato per una sorta di investitura divina, non smettendo un solo istante di remare contro, come se l'interesse nazionale coincidesse col suo destino personale. Quando, con un inedito assoluto nella storia della Repubblica, si mise a capo del governo col Pd passando senza batter ciglio dalla flat tax e dalla guerra all'immigrazione della Lega alla patrimoniale e alla riapertura indiscriminata dei porti, fu definito il Giano bifronte della politica e l'Arlecchino servitore di due partiti ideologicamente opposti, pur di conservare lo scettro del potere. Un percorso in linea col suo innato camaleontismo, che si ritrova anche negli anni in cui si affacciò alla politica da perfetto sconosciuto, prima partecipando come spettatore interessato alle giornate della Leopolda quando Renzi era l'astro nascente, e poi iscrivendosi al governo ombra del Movimento prima del trionfo elettorale del 2018. Conte, nella sua liquida consistenza politica, è un fenomeno sociologico da studiare, e in questa campagna elettorale da leader del Movimento sta mettendo in mostra la sua fisiologica doppiezza: profilo ecumenico quando arringa le casalinghe estasiate dalla sua pochette, e barricadero quando preannuncia la guerra civile per tenere lontana la minaccia del guerrigliero Di Battista.

 

 

È anche l'ex punto di riferimento del progressismo italiano che fino a pochi mesi fa pretendeva dal Pd di togliere la parola «sinistra» dalle note congiunte, prima del divorzio in morte del governo Draghi, e ora sventola invece davanti a Letta il drappo rosso della sinistra estrema, con un massimalismo oltre perfino Fratoianni. È l'uomo d'ordine che tenne gli italiani consegnati in casa per mesi a colpi di Dpcm che bypassavano il Parlamento, e ora compare sorridente nei volantini elettorali che chiedono «limiti alla decretazione d'urgenza». Tutto e il contrario di tutto, a simboleggiare un Movimento senza ideali, che dopo la legislatura del Franza o Spagna purché se magna si accinge a tornare all'opposizione come forza antisistema, dimenticando di aver governato per quattro anni e mezzo contaminandosi dentro le auto blu. È il magnifico mondo di Conte, che si rammarica perché Melenchon gli ha dato buca nella sua visita a Roma e allo stesso tempo incassa l'endorsement del vecchio amico Trump. Destra o sinistra per lui pari sono, nei giochi senza frontiere di questo campione del qualunquismo.

 

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