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Giorgia Meloni, la Destra della realtà contro la narrativa di intellettuali e influencer

Nuccio Bovalino
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Nell’era della Tik-Tok politics, il ruolo dell’intellettuale classico pare destinato a un tragico tramonto. I comunicatori hanno soppiantato gli ideologi, l’estetica ha plasmato l’etica, i like sono l’unico termometro del consenso. Nell’attesa che si compia il processo che porterà all’estinzione del pensatore organico e alla legittimazione definitiva dei leader da talent-show, sui quotidiani e nei talk televisivi gli esperti “banchettano” su ciò che resta della politica, (in)consapevoli della debolezza insita nelle analisi elaborate utilizzando le nozioni ormai obsolete delle scienze politiche tradizionali.

Le teorie dei sapienti non sono infallibili e spesso costituiscono un freno alla comprensione di alcuni inediti fenomeni sociali. Nel caso specifico della politica, non ha senso oggi rifugiarsi nelle tradizionali contrapposizioni ideologiche, altrettanto inutile armeggiare con le vecchie categorie partitiche. Un esempio: tacciare di populismo indistintamente l’antipolitica di Berlusconi, la rottamazione di Renzi, il “vaffa” grillino, il misticismo pop di Salvini e, infine, il patriottismo della Meloni, non ha forse svuotato di senso il concetto?

Pare più interessante indagare sulle nuove fratture intorno alle quali si crea il consenso per i leader politici e comprendere perché Giorgia Meloni cresce nei sondaggi elettorali nonostante la potenza di fuoco mediatica e social che i suoi oppositori hanno scatenato contro di lei. Preso atto che accusarla di populismo non la rende deprecabile agli occhi dell’opinione pubblica, anche il tentativo di farla apparire la paladina di un improduttivo e anacronistico sovranismo pare abbia perso smalto dinanzi alla dimensione politica acquisita dalla Meloni in ambito internazionale, rispettata presidente del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei e ritenuta una importante interlocutrice dal Partito Repubblicano americano.

Le analisi del potenziale elettorato di Fratelli d’Italia evidenziano una fiducia trasversale, interclassista e intergenerazionale: imprenditori e operai, giovani e anziani, laureati e diplomati. I dati smentiscono la narrazione di FdI come il partito del popolo nemico delle élite. La politica del presente si muove al di fuori dei margini che gli intellettuali prefigurano.

L’immaginario sociale da cui gemma il politico è imprevedibile e prevale sulle schematizzazioni. Davanti all’offerta di un progetto convincente, l’elettore non ha pregiudizi e non considera nessuno “unfit to lead”, ossia inadatto a governare. Il voto non dipende dall’età, dal reddito o dalle ideologie. È il trionfo della realtà su ogni artefatto romanzo giornalistico. I media e i social non sono l’agorà dove si costruisce meccanicamente il consenso: assorbono, mixano e metabolizzano ogni informazione, ma agendo come moltiplicatori di meme al di là di ogni prospettiva etico-culturale. Le reti digitali sono un luogo anarchico e libertario che non si piega alle pretese di una parte politica.

Il consenso è un atto di fede verso un leader che ci affascina ma la cui azione giudicheremo per la reale capacità di incidere sul nostro vissuto. L’attuale crisi sociale depotenzia ogni tentativo dei politici di mimetizzarsi fra gli orpelli del marketing della comunicazione, una fiction che stride con la vita reale di chi non riesce a pagare la bolletta della luce e del gas. Non basterà Chiara Ferragni a conquistare il cuore degli italiani.

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