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Silvio Berlusconi, gli attacchi al Cav sono solo l'anticipo di ciò che ci aspetta dal 25 settembre

Riccardo Mazzoni
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Alla vigilia di Ferragosto, con gli italiani in vacanza e i partiti in fila al Viminale per presentare i simboli elettorali, ieri si è avuta la prima vera avvisaglia di cosa ci aspetta non solo da ora al 25 settembre, ma anche, in prospettiva, nella legislatura che si aprirà subito dopo: la sinistra divisa sui fondamentali ma asserragliata sulle barricate per denunciare la deriva fascista-orbaniana del centrodestra.

È la maledizione di un Paese che non riesce a diventare normale, e di una democrazia prigioniera di fattori preclusivi: nella prima repubblica quello kappa, che in piena guerra fredda servì a tenere fuori i comunisti dall'area di governo, poi il fattore B, ossia il Berlusconi Cavaliere nero delegittimato a governare, oggi quello effe, cioè la Fiamma che Fratelli d'Italia dovrebbe svellere dal suo simbolo pena l'inaffidabilità democratica della Meloni. In questo clima da sepolcri imbiancati è bastata un'ovvietà detta da Berlusconi in un'intervista alla radio - quando e se verrà approvata la riforma presidenziale, Mattarella dovrebbe dimettersi per scatenare una tempesta perfetta: è vero che ci sono ovvietà, per loro natura implicite, su cui sarebbe meglio glissare, e che è sempre rischioso tirare in ballo il presidente della Repubblica in piena campagna elettorale, mala reazione della sinistra è scattata in tempo reale con uno spropositato fuoco di sbarramento con l'intento di avvelenare i pozzi avvisando che «la destra sta preparando l'assalto al potere assoluto».

Trasformando così, in modo del tutto strumentale, un'ipotesi di scuola in un presunto attacco frontale al capo dello Stato. Tesi peraltro subito smontata da un costituzionalista non certo vicino al centrodestra come Michele Ainis che ha derubricato la sortita di Berlusconi, appunto, a «un'ovvietà».

È del tutto evidente che passando all'elezione diretta si porrà il problema della posizione del presidente in carica, visto che è stato eletto in base alle norme della vecchia Costituzione, e sarebbe probabilmente lo stesso Mattarella a porselo, visto il suo rigore istituzionale. Ma farne un tema di scontro è quantomeno prematuro, anche perché l'esperienza insegna che l'iter delle riforme costituzionali è sempre lungo, articolato e complesso: servono quattro passaggi alle Camere, e se non si raggiunge la maggioranza di due terzi in Parlamento c'è il referendum popolare. Al quale, vista la portata epocale della materia, sarebbe forse opportuno ricorrere in ogni caso. Un cambiamento così profondo della forma di Stato e di governo rende poi inevitabilmente necessario un intenso lavoro di approfondimento sugli indispensabili contrappesi istituzionali, con l'auspicabile coinvolgimento di una parte dell'opposizione.

Si potrebbe anche prevedere una fase transitoria che non preveda l'immediata decadenza del capo dello Stato. Le variabili sono molte, insomma, ma resta una questione di principio che non può essere disattesa: il centrodestra ha il diritto di presentare in Parlamento il presidenzialismo, e la sinistra non può pretendere di opporre il suo potere di veto sulle riforme altrui gridando perennemente al golpe.

La Costituzione non è infatti immodificabile, visto che essa stessa prevede le regole per essere cambiata, e quando l'Unione propose nel 2006 il premierato forte nessuno l'accusò di alimentare una deriva autoritaria. La polemica di queste ore, dunque, non è altro che l'ennesimo capitolo scritto da una sinistra incapace di emanciparsi dai suoi tic ideologici, e che non avendo un'idea di Paese butta ancora una volta la palla in tribuna nel tentativo di truccare la partita. Con l'estremista di centro Calenda che agita perfino la minaccia di impedire a Berlusconi di candidarsi: siamo già in pieno Vietnam, aspettiamoci di tutto.

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