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Quel pressing internazionale su Draghi è un protettorato sull'Italia

Gianluigi Paragone
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Ma tu guarda come sono premurosi gli «ambienti internazionali», le cancellerie, le agenzie di rating e le banche d'affari: tutti preoccupati per il destino di Mario Draghi e della sua brillantissima squadra di governo. L'Italia non può vivere questo scossone, dicono; c'è il Pnrr, ci sono le varianti pandemiche, c'è la guerra, c'è il caro energia...

Nessuno che rompa l'incantesimo, nessuno che ribatta rispetto al protettorato cui ci stanno infilando da decenni senza un minimo di resistenza. Ma davvero questi ambienti internazionali hanno così a cuore le sorti degli imprenditori italiani, piccoli, medi o grandi che siano? Davvero a questa gente interessano le sorti dei lavoratori, dei risparmiatori, delle famiglie, delle partite iva, dei giovani, dei pensionati e via elencando?

 

Certo che no, lo sappiamo tutti benissimo. Il pressing internazionale affinché il Banchiere centrale «senza cuore» rimanga al suo posto non è altro che il rafforzamento di un protettorato che non può arretrare di un millimetro. E allora la vera domanda è perché Draghi debba restare al suo posto; perché il presidente Mattarella (al bis del suo mandato presidenziale, non dimentichiamolo mai) spinge per impedire lo scioglimento anticipato delle Camere; perché i partiti della maggioranza - al netto delle dichiarazioni di facciata - preferiscano rinunciare al confronto democratico delle elezioni.

 

Draghi deve restare per garantire certi equilibri internazionali, che però guarda caso crollano sopra la testa degli italiani. E con lui deve restare Roberto Speranza, perfetto nel ruolo di portavoce di decisioni prese altrove; deve restare Vittorio Colao con la sua rivoluzione tecnologica dove i cittadini cedono il passo ai Padroni tecnologici; deve restare Di Maio la cui (in)esperienza consente di attuare dossier preparati altrove; deve restare Daniele Franco, invisibile ministro dell'Economia, abilissimo nelle trame dei poteri che contano e che indebitano; devono restare Cingolani, la Lamorgese, la Cartabia, Giorgetti...

 

L'Italia deve restare «governata» da altri poteri, che non siano di tipo parlamentare e prova ne è l'affanno con cui brigano per una legge elettorale che spartisca i brandelli di una repubblica che era parlamentare sul serio e non per finzione. Il volere del popolo non conta, specie quando si inarca su posizioni che chiamiamo convenzionalmente populiste o sovraniste. Se Mario Draghi conserva ancora dei dubbi sul prosieguo della sua azione a Palazzo Chigi è solo perché vuole essere certo del suo «sovranismo» rispetto ai partiti, vuole insomma che i partiti e il parlamento non interferiscano, che non disturbino quel progetto di «pilota automatico» del quale non ha mai fatto mistero. La sua mancata elezione a Presidente della Repubblica è già di per sé una ferita non facile da chiudersi, figuriamoci se ora il Governatore può permettersi un tamburello continuo con Salvini o chi prenderà in consegna un Movimento Cinquestelle in brandelli.

Si stanno mangiando l'Italia dopo aver fatto credere agli italiani che non sono degni della loro ricchezza e della loro grandezza, dopo aver sancito che abbiamo sempre bisogno di un aiuto esterno, di un «capace» in grado di raddrizzarla. Guai se gli italiani si ricordassero di essere davvero un grande popolo sovrano.

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