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M5S, il “long grillismo” lascerà al paese una scia di errori e contraddizioni

Riccardo Mazzoni
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Il surreale psicodramma grillino di queste ore, con la resistibile escalation di condizioni irrevocabili culminata nel mezzogiorno di fuoco del vertice Draghi-Conte, è solo l'epilogo grottesco di un'avventura politica al tramonto, che ha perso per strada identità e ideali, col terzo mandato come ultima frontiera di un'onestà di maniera corrosa dai rimborsi gonfiati e dai ricorsi legali. Tanto che nel giorno della resa dei conti politica, in tribunale si discuteva della validità del metodo di elezione del leader. Il MoVimento è stato un'intuizione geniale per capacità di narrazione e scelta dei tempi, anticipatore dell'ondata populista divenuta tsunami grazie alla catena di crisi globali di inizio secolo, ma ha esaurito la sua spinta propulsiva. La dottrina di Beppe Grillo sta tutta in questo versetto apparso sul sacro blog ai tempi del governo gialloverde e dello scontro sulla Tav: «Il Paese sceglie falsi problemi: piuttosto che sostenere i suoi milioni di poveri preferisce disquisire di miliardi per bucare una montagna ed altre questioni che non esistono». Perfetta sintesi dell'utopia vagheggiata da Casaleggio: un mondo dominato dalla rete con i supermercati rasi al suolo, l'edilizia riconvertita in demolizione, e la più grande impresa del mondo che produce biciclette e monopattini.

 

 

Per anni è stato vano spiegare ai grillini che la Tav non è solo un buco in una montagna, ma un essenziale strumento di comunicazione e di sviluppo, e che la povertà si combatte certo con i sussidi ai più bisognosi, ma soprattutto creando ricchezza da redistribuire e opportunità di lavoro. Sarebbe troppo banale la battuta delle comiche finali, anche perché in questa storia non c'è proprio nulla da ridere: i Cinque Stelle, anche se ormai dimezzati nei numeri in Parlamento e ridotti ai minimi termini nel Paese, per i danni diretti e collaterali provocati restano infatti una cambiale che gli italiani dovranno pagare per diversi lustri, anche quando il grillismo sarà finito nel novero degli accidenti della storia. Se gli effetti del long Covid sono ancora tutti da valutare clinicamente, non serve uno scienziato della politica per scrutare la scia di danni a lungo termine lasciata dal binomio ignoranza-arroganza, dal trasformismo eretto a sistema, dagli errori marchiani e dal combinato disposto di contraddizioni palesi, tic luddisti e impuntature ideologiche che si sono regolarmente schiantati contro la realtà, che ha sempre la testa più dura dei sogni. Non c'è branca dello scibile politico che sia rimasta indenne, a partire dall'economia e dalle questioni sociali: il reddito di cittadinanza, la misura simbolo per eccellenza, non ha abolito la povertà, il decreto dignità non ha risolto la precarietà del lavoro, e il Cashback non ha scalfito l'evasione fiscale costando però diversi miliardi alle casse dello Stato.

 

 

A questa catena di fallimenti va aggiunta la bolletta occulta che stiamo pagando insieme ai rincari dell'energia: se oggi la nostra produzione di metano copre solo il 4,6% del consumo, e il restante 95,4% lo importiamo a carissimo prezzo, lo dobbiamo soprattutto al grillismo ideologico, che si è opposto alle trivellazioni in mare, voleva bloccare il Tap e, per sovrappiù, in linea col vetero-ambientalismo continua ad opporsi ai termovalorizzatori. Per non parlare dei pericolosi sbandamenti in politica estera: dall'abbraccio con i gilet gialli che mise a rischio i rapporti con la Francia alla Via della Seta, che Conte e Di Maio sbandieravano come un fiore all'occhiello ed era invece una strada lastricata di trappole, una surrettizia cessione alla Cina di asset strategici come porti e 5G, che ha messo in allarme l'intera Nato. Come l'aperta ostilità allo sviluppo del programma altrettanto strategico degli F-35. Per questo la volontà di «mantenere la nostra storica alleanza dentro la Nato» rivendicata da Conte nel documento consegnato ieri a Draghi è solo l'ultimo, plateale esempio della inveterata doppiezza grillina.

 

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