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L'Europa promette l'ennesima svolta storica sui migranti. Ma è solo l'ultimo degli annunci inutili

Riccardo Mazzoni
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Ci risiamo: il Consiglio Ue degli Affari Interni ha annunciato l'ennesima «svolta storica» sulla gestione dei migranti: «È la prima volta - ha detto la ministra Lamorgese - che si parla effettivamente del principio di solidarietà unito al principio di responsabilità». In realtà, solidarietà e responsabilità sono due termini dietro i quali la Commissione europea ha più volte mascherato la propria incapacità di imporre una politica comune di asilo. È più che legittimo dunque accogliere con un disincantato scetticismo questo solenne accordo sulla prima tappa del patto per le migrazioni, tenendo conto dei precedenti beffardi, che hanno visto totalmente disattesi gli impegni assunti nei confronti dei Paesi di primo approdo. Il piano europeo di relocation adottato nel 2015 come segno di solidarietà verso Italia e Grecia per gestire la crisi dei migranti, fu ad esempio un totale fallimento, tanto che non passò nemmeno il testo di mediazione che prevedeva, al posto di una relocation obbligatoria, almeno un sostegno economico da parte degli Stati inadempienti. Poi il Patto di Malta, anch'esso salutato come un evento «storico», ma sottoscritto in realtà da un piccolo gruppo di Paesi, non partorì alcun meccanismo automatico di redistribuzione, ma un ricollocamento solo temporaneo, gestito caso per caso e soprattutto ancora su base volontaria, riguardando peraltro solo i richiedenti asilo ma non i migranti economici, che sono l'85 per cento degli arrivi. Risultato: un altro flop, mentre la riforma di Schengen - che ieri ha avuto un sostanziale via libera - rischia di peggiorare ulteriormente le cose, perché inserisce i cosiddetti movimenti secondari tra i motivi per cui uno Stato membro è autorizzato a reintrodurre i controlli alle frontiere interne, al pari delle minacce alla sicurezza e delle crisi sanitarie.

 

 

Una clausola, questa, fortemente voluta proprio da Macron, ma che confligge apertamente con i nostri interessi, perché favorirà il rimpatrio nel nostro Paese dei migranti irregolari fuggiti oltrefrontiera. Questo è lo stato dell'arte, e l'accordo siglato ieri rischia di essere solo un'altra foglia di fico che non porterà alcun sollievo ai Paesi mediterranei. L'unica novità positiva rispetto a Malta è la concessione di estendere la relocation a tutti i migranti salvati in mare, e non solo ai richiedenti asilo, ma è un'apertura che rischia di restare solo una dichiarazione d'intenti, perché il previsto rafforzamento della banca dati Eurodac per lo screening al momento degli sbarchi rappresenta di fatto un'altra premessa per riportare nei Paesi di primo ingresso i migranti che passano il confine. Secondo la presidenza di turno francese, per la prima volta nel vertice di ieri a Lussemburgo si sarebbe sancito il principio della «solidarietà obbligatoria» per tutti i Paesi Ue, e questa sarebbe davvero una rivoluzione copernicana nell'approccio comunitario alle crisi migratorie.

 

 

Ma si tratta purtroppo di un'affermazione dettata da un ottimismo di maniera e dalla propaganda, perché i ricollocamenti restano esclusivamente su base volontaria, e il Patto prevede in realtà numerose scappatoie all'obbligatorietà della relocation, come l'alternativa degli aiuti logistici e finanziari, o la facoltà di ridurre il livello di solidarietà in caso di non funzionamento del regolamento di Dublino. È proprio Dublino il retaggio anacronistico, ma di fatto irriformabile, che impedisce un'equa redistribuzione dei migranti, e finché non verrà definitivamente superato l'Italia è destinata a restare in perenne emergenza, mentre i Paesi che rifiutano la loro quota di migranti possono cavarsela concedendoci una sorta di simbolico risarcimento economico. Non c'è nulla di «storico», dunque, nel Patto di ieri, e se la crisi del grano farà impennare le partenze dall'Africa rischiamo di diventare il campo profughi d'Europa.

 

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