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Aumentare gli stipendi spinge anche l'inflazione

Bruno Villois
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Lo spauracchio inflazione si reimpossessa del sentiment dei mercati finanziari, i quali pagano scotto ogni qual volta che negli Stati Uniti o in Europa escono le percentuali mensili e annuali della crescita del costo della vita. Un costo della vita che oltre il dato ufficiale sconta un sovra più del 5/7%, portandosi a livelli insostenibili. Parimenti il possente calo dei valori dei mercati finanziari regolamentati aumenta i timori per la tenuta del potere di acquisto che, andando avanti di questo passo, potrebbe scendere anche del 20% se si sommasse inflazione al crollo dei valori del risparmio. Questo scenario, almeno per ora, spaventa ma non allarma, o meglio mette gli italiani nella condizione di mantenere ben oltre la soglia della sufficienza il tasso di fiducia, mentre parte rilevante degli imprenditori abbassa l’asticella della fiducia, soprattutto se l’attività è energivora o prioritariamente vocata all’export verso la Cina o la Germania, primo interfaccia della patria di Mao.

La visione pessimista potrebbe assumere il sopravvento nel caso ci fossero segnali di difficoltà nel reperimento del gas già in questo periodo in cui i riscaldamenti sono spenti e le produzioni non tirano al massimo. Il segnale sarebbe premonitore per un autunno-inverno difficoltoso per riscaldamento e produzioni. Il Governo evita giustamente di allarmare, mentre il sindacato, alle prese con i salari degli occupati a reddito fisso, lancia strali contro lo stesso esecutivo e le associazioni datoriali, le quali o sono tiepide o contrarie per un’aggancio totale dell’inflazione ai salari da lavoro dipendente. Il tema crea contrapposizioni tra chi ritiene che un aggancio integrale dei salari al costo della vita non farebbe null’altro che farlo crescere ingenerando un effetto boomerang che si ripercuoterebbe sull’intero sistema socio-economico e chi, viceversa, ritiene che non farlo scatenerebbe reazioni sociali negative particolarmente pericolose. Nel nostro Paese, dove le differenze sono particolarmente marcate tra le grandi aree e sovente tra le città in ragione della vocazione economica, serve recepire le differenze, rispettando un livello base, ma ritenendole essenziali per trovare la formula più equa. Differenze che sono evidenti tra Roma, nella quale la forza lavoro è prioritariamente occupata nell’ampio giro dell’attrattività, a cui si aggiunge quello legato al potere politico legislativo ed esecutivo, con una parte minoritaria dedicata alla manifattura concentrata sull’Hi-tech e Itc, e il resto della Regione, nel quale il turismo non è elemento portante, ma lo sono alcuni poli industriali di buona levatura. Questa differenzazione ha comunque in comune due elementi sostanziali: la formazione-aggiornamento specializzate, sia per produzioni, che per servizi e la produttività, che deve diventare elemento indispensabile per far crescere i salari in rapporto al livello. Su queste componenti è necessario puntare per sostenere i redditi e salvaguardare il potere di acquisto. Puntare sull’aumento dei salari tout court, agganciandolo al costo della vita, servirà solo a costituire un circolo vizioso che innalzerà il tasso inflattivo e non darà certo respiro ai consumi,ovvero farà pensare che non esista antidoto alla salita dell’inflazione.
 

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