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Gesù e Maria per vendere jeans. Secondo l'Europa è libertà d'espressione

La Corte di Strasburgo dà ragione a un'azienda lituana

Davide Di Santo
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Gesù e Maria possono essere usati per vendere vestiti. Non solo, anche merendine, auto, detersivi... Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani che si è espressa a favore di un'azienda lituana che aveva utilizzato simboli religiosi per pubblicizzare i suoi prodotti, ed era per questo stata multata nel Paese. La sentenza, pubblicata dal tribunale, afferma che la multa inflitta perché la compagnia Sekmadienis Ltd avrebbe mostrato immagini "contrarie alla morale pubblica" rappresenti "un'interferenza con i diritti di libertà d'espressione" del marchio. Secondo i tribunali locali, l'uso dei simboli di Gesù e Maria è stato "inappropriato" e ha "distorto il loro significato", dopo che il governo lituano ha parlato della necessità di difendere la morale derivata dalla fede cristiana e condivisa da una parte sostanziale della popolazione, e della tutela del diritto alle persone religiose a non essere insultate a causa del loro credo. Negli spot una modella e un modello sono ritratti con gli abiti da pubblicizzare, rievocando chiaramente l'iconografia cristiana, e con slogan come "Gesù, Maria! Che stile!" e "Madre di Dio, che vestito!". Nella sentenza si legge che la Corte di Strasburgo ritiene che "la libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica e una delle condizioni di base per il suo progresso e per l'autorealizzazione individuale di ciascuna persona". Essa, inoltre, "si estende a idee che scioccano, offendono o disturbano". Inoltre, sottolinea che le autorità lituane hanno ritenuto le pubblicità contrarie alla morale pubblica perché hanno usato simboli religiosi "per scopi superficiali", "distorcendo il loro scopo principale" ed essendo "inappropriate".  Tuttavia, per la Corte queste rilevazioni sono "vaghe e insufficienti per spiegare perché il riferimento ai simboli religiosi nelle pubblicità sia offensivo, se non per il fatto che lo scopo non sia religioso". Inoltre, per i giudici, le immagini "non sembrano gratuitamente offensive o profane, né incitano all'odio per motivi di fede o attaccano una religione in modo in abusivo o gratuito". Il tribunale conclude che le autorità locali non hanno "raggiunto un giusto equilibrio tra la protezione della morale pubblica e i diritti delle persone religiose da una parte, il diritto alla libertà d'espressione dell'azienda dall'altra". Le posizioni da esse espresse, ha motivato, "dimostrano che hanno dato priorità totale a proteggere i sentimenti delle persone religiose, senza prendere in considerazione in modo adeguato il diritto alla libertà d'espressione della compagnia". Vilnius, quindi, dovrà risarcire con 580 euro l'azienda.

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