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Immigrazione, Gentiloni: rischio jihad da carceri e webMinniti: i nuovi Cie non saranno come nel passato

Katia Perrini
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«I percorsi di radicalizzazione si sviluppano soprattutto in alcuni luoghi, nelle carceri e nel web». Paolo Gentiloni fa il punto della situazione dopo la riunione della Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell'estremismo jihadista. In una conferenza stampa a palazzo Chigi il premier considera «prevenzione» e «politiche migratorie efficaci», a cominciare dai rimpatri, coniugando «rigore e accoglienza», la «bussola su cui si muove» il suo governo. Ovvero la strada più adeguata per contrastare la minaccia terroristica. L'Italia, assicura, secondo gli ultimi dati, presenta meno radicalizzazione che altrove, ma non bisogna abbassare la guardia, monitorando sopratutto la grande rete e le carceri: «C'è una specificità nel nostro Paese. Per certi versi è più rassicurante, nel senso che le dimensioni numeriche della radicalizzazione sono minori che in altri paesi. Ma - avverte il presidente del Consiglio il fatto di avere un numero minore di foreign fighters in nessun modo deve indurci a sottovalutare il fenomeno e la necessità di capirlo». «Abbiamo bisogno di prevenzione, prevenzione, prevenzione» e di «massima vigilanza», assicura Gentiloni che invita a «coinvolgere anche la comunità islamica in questa attività preventiva» e a non fare «equazioni improprie tra migrazione e terrorismo».«L'esigenza del governo -dice- di comprendere sempre meglio le modalità e i percorsi della radicalizzazione per potersi meglio attivare per contrastare questo fenomeno non è un'esigenza che si esaurisce oggi, ma certamente ha bisogno di continuare. E mi fa molto piacere che gli esperti della Commissione abbiamo convenuto sulla utilità di proseguire il loro lavoro» avviato. Il «fenomeno della radicalizzazione di minoranze fondamentaliste islamiche - dice Gentiloni - va contrastato dal punto di vista dell'apparato di intelligence e della sicurezza. Ma per poterlo contrastare con efficacia, bisogna innanzitutto capire le dimensioni, i percorsi e le ragioni». «Carceri e web - ripete il premier - sono luoghi di radicalizzazione. Per questo, lavorare su questi luoghi è uno dei modi principali per prevenire la minaccia terroristica». La vigilanza «deve essere massima», «abbiamo bisogno di prevenzione e di politiche migratorie sempre più efficaci». E il ministro dell'Interno Marco Minniti, ha aggiunto: «La legge prevede che chi è irregolare nel nostro paese deve essere rimpatriato. È difficile pensare al respingimento immediato di un irregolare. Per procedere al rimpatrio bisogna avere un accordo firmato con il paese che deve recepire il rimpatrio. Il Cie è una struttura in cui la persona viene trattenuta in attesa della procedura di rimpatrio. La legge li chiama ancora Cie e non sono particolarmente affezionato a questa dicitura, forse il nome potrà cambiare o forse no, ma quel che è certo è che non avranno nulla a che fare con quelli del passato e non hanno nulla a che fare con i richiedenti asilo. Io ho il dovere di presentare una proposta e lo farò. Già il 19 gennaio ne parleremo in conferenza Stato-Regioni. È un pezzo della proposta, non la proposta». Poco prima il ministro aveva spiegato anche che «È sbagliato fare un'equazione immigrazione-terrorismo. Il tema immigrazione va affrontato in una visione complessiva. A meno di un mese dal mio giuramento ho lavorato per presentare una proposta organica e complessiva al Parlamento italiano. È il modo più giusto: le forze politiche potranno parlare, il ministro ascolterà e l'opinione pubblica potrà prendere atto. Sono i processi della democrazia a cui sono profondamente legato». Minniti ha poi annunciato che «il 16 gennaio si terrà a Tunisi la conferenza del gruppo di lavoro misto italo-tunisino per affrontare tema rimpatri». Sul tema dei foreign fighters è poi intervenuto Lorenzo Vidino, coordinatore della Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell'estremismo jihadista. «Il Paese è ancora latitante nella prevenzione del terrorismo, la raccomandazione della nostra Commissione è stata proprio questa: bisogna fare prevenzione contro la radicalizzazione, è un investimento nel medio-lungo termine». Il fenomeno in Italia è ancora lieve, «ci sono poco più di 100 foreign fighters», precisa Vidino, un numero inferiore rispetto a «Germania, Francia o Belgio». Il ritardo è forse dovuto al fatto che «in Italia non abbiamo ancora seconde o terze generazioni. Qui il fenomeno è indietro di 5-10 anni rispetto ad altri Paesi, ora in Italia vediamo tendenze che altrove vedevamo dieci anni fa», termina il coordinatore. 

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