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Meno tasse e più lavoro Così Trump ha vinto contro tutto e tutti

Paola Tommasi
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Da solo contro tutti. Così Donald Trump ha conquistato la Casa Bianca. Contro i suoi stessi collaboratori che non hanno mai smesso di pensare a un piano B, contro gli esponenti del partito repubblicano che gli davano o gli toglievano l'appoggio a seconda dell'andamento dei sondaggi, contro Wall Street e contro i poteri forti tutti. Nell'ultima domenica prima del voto, a un certo punto sembrava che addirittura sua figlia Ivanka, la più fidata, volesse prendere le distanze cercando di apparire il meno possibile vicino al padre. Tutti i giornali gli hanno dato addosso, tutte le tv. E lui le ha bypassate. Se seguivi Donald Trump sui Social network in questa campagna elettorale ti arrivavano almeno cinque notifiche al giorno di lui in diretta Facebook a fare comizi su e giù per gli Stati Uniti. Su Instagram il profilo era leggermente più personale, o meglio, le foto di eventi pubblici si alternavano a foto più intime, con figli e nipoti. Su Twitter, poi, era il tripudio. E in effetti quel profilo lo gestiva lui, tanto che nel fine settimana pre-voto, per screditarlo, si era arrivati fino a dire che il suo staff gli avesse sequestrato il cellulare. Per non farlo più twittare. Vi immaginate un collaboratore di Trump che gli sequestra il cellulare? Ma, soprattutto, immaginate la risposta? A tutte queste leggende metropolitane abbiamo creduto per un anno e mezzo, di fatto rifiutando di capire cosa stesse succedendo davvero in America. Per settimane ci siamo lacerati sul voto degli ispanici o degli afroamericani, solo perché il pensiero dominante doveva valorizzare Hillary Clinton. Ma dimenticandoci che in America ci sono anche i bianchi. Già, i bianchi. Trattati con schifo. Nel buonismo generale, per non darla vinta a un miliardario newyorkese che sembrava si fosse candidato alla Casa Bianca solo per togliersi lo sfizio di un giochino nuovo, siamo disposti a soffocare noi stessi. Pur di non offendere il "diverso". Così facendo, il "diverso" ci ha sopraffatti, fino quasi a far sparire la nostra cultura, con gli attentati e le guerre di religione. Ma se siamo bianchi e siamo sotto attacco, vogliamo difenderci o vogliamo continuare a lasciar fare? Trump se n'è fregato degli africani e degli ispanici, e in effetti il loro voto non è stato rilevante. La frase più ricorrente la notte dell'Election day a New York era: «Siamo davanti a un'occasione unica di cambiamento che quelli che sono qui oggi, anche i più giovani, non vedranno mai più nella loro vita». Sulla base di questo ragionamento, l'unico exit poll che si è rivelato significativo è stato quello della Cnn in cui tra «Preferisci un cambio drastico nella politica o un presidente esperto?», uscendo dai seggi la maggioranza ha risposto per il cambiamento. Da lì, a volerlo fare, si poteva già capire che Trump avrebbe vinto. Abbiamo assistito alla recriminazione dell'uomo bianco durante tutta la campagna elettorale da parte degli uomini bianchi stessi, come se non bastassero le minacce che vengono da fuori. E c'è stato lo scatto. Non c'erano i mostri descritti dai media ai comizi di Trump, ma gente per bene, normale, coppie giovani e anziane, famiglie, gruppi di amici. E una partecipazione intensa, oltre che numericamente importante. Più che cogliere le domande del popolo arrabbiato, di quello distrutto dalla crisi, è stata una battaglia di civiltà quella che ha portato avanti Donald Trump. Di cui beneficerà anche l'Europa nel lungo termine, fosse solo per la necessità di doversi rinnovare onde evitare di soccombere davanti a un'America di nuovo grande e influente nel mondo. Per competere, l'Europa dovrà rafforzare se stessa, altrimenti verrà schiacciata. Si è detto poi che le classi medio-basse votavano per Trump mentre dalla parte della Clinton c'erano i colti. Al contrario, chi si è fermato in superficie nella lettura dei programmi elettorali si è lasciato spaventare dalla furia solo di facciata del candidato repubblicano e ha votato per Hillary, mentre chi ha letto le proposte di entrambi per il paese e le ha confrontate ha optato per Trump. Concetti semplici: più sicurezza, meno immigrazione irregolare (attenzione: contro gli immigrati regolari Trump non ha nulla da eccepire), e sul piano economico meno tasse e più lavoro. Quindi crescita e sviluppo. Perché solo se si è forti nell'economia si può essere competitivi e credibili anche sul piano politico e geopolitico. E poi, un Presidente che ha come obiettivo chiaro in testa quello di voler sconfiggere l'Isis è un bene o un male? In contrasto con la candidata democratica che insieme a Obama, secondo Trump, con la sua politica estera scellerata, soprattutto in Medio Oriente, l'Isis l'ha creata. Terrorismo internazionale da contrastare anche alleandosi col nemico di sempre: la Russia. Cosa di cui noi europei e italiani non dobbiamo scandalizzarci, perché è la stessa linea ribadita in mozioni su mozioni discusse in Parlamento per la cancellazione delle sanzioni alla Federazione Russa e la creazione di una coalizione internazionale sotto l'egida dell'Onu per vincere l'Isis. E a proposito di Europa, come reagiranno i suoi leader indecisi a tutto, incapaci di prendere posizione su temi seri come economia, immigrazione e sicurezza, davanti a un presidente degli Stati Uniti determinato come Trump? Avranno finalmente uno scatto d'orgoglio e sarà la volta buona che anche l'Unione europea cambia oppure soccomberanno? Martedì notte l'America ha bocciato Hillary Clinton, il suo operato come Segretario di Stato, Senatrice e ancora prima come First Lady, che ha coperto le beghe del marito per soli fini opportunistici di carriera. Il suo essersi arricchita grazie alla politica e a finanzia- menti poco chiari fatti alla Fondazione di famiglia da privati, società e governi, anche di Paesi poco affidabili in cambio di favori da parte del governo. E il suo aver messo a repentaglio la sicurezza degli Stati Uniti d'America con un uso negligente, diciamo così, della posta elettronica. Ed è stato bocciato Barack Obama, la sua riforma del sistema sanitario, i suoi Trattati commerciali, la sua speranza tradita, quel premio Nobel per la pace assegnatogli sulla fiducia. Obama che ha fatto una campagna elettorale serratissima per la Clinton, girando co- me una trottola. Ma evidentemente il giudizio della gente su di lui è talmente negativo che il suo presenzialismo nelle ultime settimane ha prodotto l'effetto contrario sul consenso popolare. Lo stesso dicasi per le rockstar invitate ad esibirsi gratis «per la plebe». Mentre per Trump alla fine hanno votato anche tante donne. Proprio quelle che lui trattava male, secondo i racconti delle cronache. Forse abbia- mo vissuto per un anno e mezzo in una bolla. L'America martedì sera ha deciso di riaprire gli occhi. Intanto si lavora alla squadra di governo. Un ruolo centrale avrà sicuramente l'ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, non si sa ancora se formalizzato nell'amministrazione o se come super consulente del Presidente. Poi quei pochi repubblicani che lo hanno seguito sempre senza esitazioni, come il governatore del New Jersey, Chris Christie, e Ben Carson, ex rivale alle primarie. E tanti, tanti outsider, come lo stesso Trump. Buon lavoro al quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d'America. 

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