Il riarmo regionale del Sudan fa temere un conflitto destinato a durare
“Dall’esplosione, nell’aprile 2023, della guerra tra l’esercito sudanese e le Forze di supporto rapido, il cielo del Sudan è diventato un vero laboratorio di sperimentazione per droni e sistemi di difesa aerea di ultima generazione. Il conflitto, ben lontano dal restare un affare interno, si è trasformato in un crocevia di interessi regionali e di reti di approvvigionamento: società turche, circuiti di sostegno militare iraniani e turchi, forniture provenienti da altri attori internazionali. A ciò si aggiungono accuse documentate rivolte allo stesso esercito sudanese per l’uso di armi chimiche. La combinazione di questi elementi, in un contesto politico estremamente fragile, genera oggi una minaccia crescente che supera ampiamente le frontiere del Paese e coinvolge la sicurezza del Mar Rosso, del Corno d’Africa e persino del Mediterraneo.
Un lungo reportage del Washington Post, pubblicato il 7 marzo 2025, ha messo in luce un importante contratto da 120 milioni di dollari firmato tra la società turca Baykar e l’organismo responsabile degli acquisti dell’esercito sudanese, la Defence Industries System (DIS). L’accordo comprende sei droni Bayraktar TB2, 600 cariche militari, tre stazioni di controllo a terra e un contingente tecnico turco di 48 persone dispiegate in Sudan. Le prime consegne sono giunte al porto di Port Sudan nell’agosto 2024, per essere poi trasferite alle basi di Chendi e Atbara, nel nord del Paese. Questi trasferimenti sono avvenuti nonostante le sanzioni statunitensi ed europee contro la DIS. Per gli analisti, non si tratta soltanto dell’acquisto di droni, ma di un salto di capacità che offre all’esercito sudanese nuovi strumenti di ricognizione e di attacco di precisione, incidendo direttamente sul campo di battaglia.
Secondo un rapporto di Amnesty International pubblicato nel luglio 2024, il riarmo sudanese non si limita ai droni. L’indagine, intitolata New Weapons Fuelling the Sudan Conflict, documenta l’arrivo di armi recenti provenienti da vari Paesi nelle mani dell’esercito o di milizie alleate. Amnesty descrive un fenomeno preoccupante: l’importazione di armi dichiarate “civili”, come fucili da caccia o armi acustiche turche, che vengono poi modificate e trasformate in mezzi militari all’interno del Paese. Armi di provenienza straniera come il fucile BRG 55 sono state individuate tra le unità vicine all’esercito, rivelando probabilmente l’esistenza di circuiti commerciali che aggiornano le regole internazionali sugli armamenti.
Parallelamente, diversi centri di ricerca hanno rilevato che Khartoum ha progressivamente riallacciato i legami con Teheran, aprendo la strada a una cooperazione militare più ampia. Droni iraniani del tipo Mohajer-6 e Ababil-3 sarebbero stati consegnati e dispiegati, in particolare nella base di Wadi Seidna, tramite voli operati dalla compagnia Qeshm Fars Air, legata ai Guardiani della rivoluzione. Questa evoluzione colloca il Sudan al centro di una corsa regionale ai droni sul Mar Rosso, dove l’Iran è già attivo attraverso i suoi alleati in Yemen e sulle coste del Corno d’Africa. Un rapporto del Critical Threats Project dell’American Enterprise Institute sottolinea che Iran e Turchia sono ormai tra gli attori esterni più influenti nel trasformare il conflitto sudanese in un terreno di sperimentazione per tattiche con droni e sistemi di difesa aerea, in una dinamica che si inserisce in una più ampia competizione di influenza nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden.
La situazione è ulteriormente degenerata con le accuse di uso di armi chimiche da parte dell’esercito sudanese. Il 22 maggio 2025 il Dipartimento di Stato americano ha concluso ufficialmente che il governo sudanese aveva utilizzato agenti chimici nel 2024, attivando automaticamente le sanzioni previste dalla legge americana sull’interdizione delle armi chimiche e biologiche. Tali misure includono severe restrizioni sulle esportazioni e sui crediti del governo statunitense. L’inchiesta americana cita in particolare l’uso di gas cloro contro posizioni avversarie. Nell’ottobre 2025 un’indagine di France 24 ha pubblicato prove video, autenticate da esperti, che mostrano l’impiego di bombe al cloro nei pressi della raffineria di El-Jaili, a nord di Khartoum. Questi attacchi sono stati attribuiti a unità dell’esercito sudanese, nonostante le smentite ufficiali del comando.
La questione non riguarda soltanto le armi, ma anche i gruppi che le utilizzano. Secondo fonti credibili, l’esercito sudanese si appoggia oggi a formazioni paramilitari ideologizzate, come la brigata Al-Baraa Ibn Malik, l’unità delle operazioni speciali ricostituita a partire da quadri islamisti, oltre a gruppi estremisti locali. In questo contesto, la consegna di droni TB2 o Mohajer-6 e di sistemi di difesa avanzati rappresenta un duplice rischio: accrescere la capacità distruttiva di un attore coinvolto in una guerra civile segnata da gravi violazioni e trasferire tecnologie sensibili a reti che potrebbero in seguito alimentare gruppi jihadisti transnazionali.
Il pericolo supera ormai i confini sudanesi. Le rotte marittime del Mar Rosso, Bab el-Mandeb e i collegamenti verso il canale di Suez e il Mediterraneo costituiscono arterie vitali per il commercio e la sicurezza energetica europea. Uno studio della Carnegie Endowment for International Peace, Dhows, Drones, and Dollars, documenta l’intensificazione dei legami tra gli Houthi e gruppi estremisti in Somalia, in particolare Al-Shabaab e la branca locale dello Stato islamico, attraverso trasferimenti di droni e armi e l’uso delle coste somale e gibutine come corridoi di contrabbando tra Iran, Yemen e Africa. Il rapporto collega queste reti a rotte di traffico che attraversano Kenya, Tanzania e Bab el-Mandeb, delineando una strategia volta a espandere l’influenza iraniana e a controllare gli assi marittimi. In questo quadro, il riavvicinamento tra Khartoum e Teheran, unito all’ingresso di droni iraniani negli arsenali sudanesi, fa temere che il Paese possa diventare un nuovo nodo di una rete regionale in cui si intrecciano traffico d’armi, conflitti per procura e gruppi jihadisti.
I think-tank europei specializzati nelle minacce legate ai droni lanciano l’allarme: la proliferazione di sistemi d’arma sofisticati nelle mani di attori politicamente instabili, come in Sudan, amplia il perimetro di minaccia dal Golfo Arabo-Persico al Mar Rosso e allo stretto di Bab el-Mandeb. Combinata con l’attività di reti di contrabbando legate all’Iran, agli Houthi e ad Al-Shabaab, la possibile circolazione di tecnologie militari, sia tramite il mercato nero sia per affinità ideologiche, rappresenta un rischio diretto per gli interessi della Francia, per quelli dei suoi partner nell’Africa orientale e nel Sahel, nonché per la sicurezza della navigazione internazionale". Così Pierluigi Sabatini, Presidente di Geocrazia.
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