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di Lidia Lombardi C'è una mostra a Chieti che potrebbe fare da slogan al capoluogo teatino: "Così lontani, così vicini" è dedicata a due artisti di diversissima generazione, Vasco Bendini e Matteo Montani, ma legati da memoria storica e feeli

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Intantola posizione: su un colle di 300 metri, offre la vista del mare, e della affaccendata Pescara, e di montagne imponenti, il Gran Sasso e la Maiella, meritando l'appellativo di terrazza d'Abruzzo. Poi lo sdoppiamento in Chieti alta e Scalo: lassù il salotto del centro, gli snodi culturali, i parchi belli di verde e di archeologia, laggiù le attività imprenditoriali. Pare una piacente signora con la veletta, Chieti alta, se passeggi sotto i portici di Corso Marrucino. Ma è rock per le schiere degli universitari, perché qui c'è la gran parte dell'ateneo intitolato a D'Annunzio. Antico e moderno in questa che è tra le città più antiche d'Italia, la Teate che ricorda nel nome la madre di Achille e fu capoluogo dei fieri Marrucini, ora nemici ora alleati dei Romani. '800 e grandi reperti archeologici, '900 e viscere di millenni fa. Prendete uno dei poli culturali, Palazzo de' Mayo, che appunto ospita le opere di Bendini e Montani e che è stato restituito ai cittadini, con esposizioni, concerti, cinema, conferenze grazie al restauro realizzato da Carichieti, che lo ha acquisito nel 2004 e ne ha fatto dal 2011 sede della sua Fondazione. È un edificio di fine '700 affacciato sul corso, fatto costruire dai mercanti Saverio e Severino Costanzo (avevano comprato la residenza dei baroni Valignani e lo alienarono poi al conte Levino Mayo) , articolato per la facciata che ha in cima una fantasiosa altana (tardo barocco, unico, in Abruzzo), per la fuga della doppia fila di finestre con timpano e balconcini. Ebbene, nel sottosuolo corre la Chieti antica, come in tutto il centro storico. E infatti visite guidate conducono nel lungo budello della Via Tecta (via coperta), una galleria che arrivava alle terme, sfruttando il clivus. Le volte a botte, le pareti che alternano opus reticolatus policromo le danno suggestione. Nei piani superiori, salto di secoli. Per esempio nella sala conferenze: il soffitto è affrescato, come molti altri, dal settecentesco Giacinto Diano. Ma nella parete di fondo troneggia un'opera dell'esposizione permanente del Palazzo, dipinti tra Otto e Novecento, che fa vibrare d'emozione: La figlia di Iorio, firmata da Michetti. Anche il Teatro Marrucino ha due anime. Fu eretto su una chiesa a inizio '800 con ardore borbonico - infatti si chiamava Teatro Ferdinando I - divenuto poi risorgimentale, sicché dopo l'Unità prese il nome degli antichi teatini. Peppino De Filippo che ne ha calcato le scene (come la Duse, Gassman, Carmelo Bene) lo definì "bomboniera". È ancora di più nella forma all'italiana, i palchi dorati, il rosone ligneo del soffitto. Un monumento che meritò la prima della dannunziana "Figlia di Iorio" e che quest'anno ha in cartellone molte opere, a patto che i tagli alla cultura non lo fermino. Antico e moderno anche a Villa Frigerj, nell'acropoli, Museo Archeologico: la sala col pezzo universalmente noto, "Il guerriero di Capestrano", è stata riallestita dallo scultore Mimmo Palladino. Nobile Chieti, densa di memoria e presente.

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