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di Lucio D'Arcangelo Ferruccio Parazzoli, scrittore, due volte nella cinquina del Campiello e del Premio Strega, è consulente di Mondadori, di cui è stato capo ufficio stampa e direttore editoriale Oscar.

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Hatenuto corsi di scrittura creativa e con «Inventare il mondo. Teoria e pratica del racconto» (Garzanti) ha messo insieme una specie di "cassetta degli attrezzi" o meglio di tesoretto indispensabile per chiunque si cimenti nella narrativa. Con il suo ultimo libro, «Eclisse del Dio unico» (Saggiatore pag. 153, euro 13), Parazzoli si è cimentato in una saggistica introspettiva, "agostiniana", in cui meditazione e autobiografia, racconto e riflessione sono tutt'uno. L'afflato religioso che permea la sua opera narrativa si esprime in un linguaggio più diretto, tanto efficace quanto parco, che pone nei suoi termini esatti l'oscuramento di Dio nel mondo contemporaneo. La tua posizione mi ricorda quella di un cristiano "agonico" come Miguel de Unamuno. Comincerò quindi con un suo paradosso: «Dio non esiste, ma piuttosto sovresiste ed esiste facendoci esistere». «Il paradosso di Unamuno, anche nella sua vertiginosa oscurità, lo sento vicino al mio pensiero che, già prima di questo mio ultimo libro, ho espresso narrativamente nel mio romanzo "Il mondo è rappresentazione", anche se in quelle pagine, è il Diavolo il primo ad intuirlo, e la cosa non gli piace affatto. Sì, il mondo, tutti noi, tutto quanto avviene nell'attimo presente, il bene come il male, è la rappresentazione della vita di Dio, è la vita stessa di Dio. Se venisse meno anche solo una piccola parte della Rappresentazione verrebbe meno anche una parte, un aspetto della vita di Dio che, ovviamente, non è il Vecchio Dio ebraico-cristiano che 'ci hanno dato' secoli di esegesi, di dogmi e di teologie. Ogni studio dell'uomo su Dio merita rispetto, ma non una fede assoluta come ciascuna Chiesa richiede». Riferendomi alla prefazione di Mancuso ti chiedo: perché eclisse e non tramonto? «Perché con il tramonto c'è un'assenza momentanea del corpo che tramonta, con l'eclisse la presenza, invece, rimane anche se il corpo è oscurato da un altro corpo. Una grande ombra, sempre più fitta, eclissa la presenza di Dio, di un Dio che, fuori dal Vecchio Testamento, persegue nel suo silenzio sommerso sempre più dal rumore di un mondo ormai pronto a rinunciare alla sua assenza». Alcun, ad esempio Salvatore Natoli con il suo libro "La salvezza senza fede", hanno visto in questa eclisse di Dio un ritorno di paganesimo. Pensi che sia questo il punto? «Non lo credo, se lo si considera come un ritorno ad una antica forma di religione. Il politeismo pagano è ormai impossibile a meno che non si considerino idoli il denaro, il sesso, il successo... Il politeismo è stato cancellato dal trionfo del cristianesimo, ma non del tutto la sua anima pagana che sopravvive nei culti e nelle superstizioni del popolo emotivamente cristiano». Il tuo libro ha suscitato molte polemiche e ha dato luogo ad interpetrazioni discordanti. Si è parlato, ad esempio, di panteismo o forse di plotinismo. «Di panteismo parla Mancuso nella prefazione al libro. Ho detto a Mancuso che la sua lettura del mio testo, in chiave panteistica, era solo parzialmente corretta. Infatti il panteismo esprime qualcosa di statico: Dio è in ogni cosa animata o inanimata. No, il mio panteismo, se pure così si può chiamare, è dinamico: Dio vive nella rappresentazione del mondo che è la vita stessa di Dio. Dio è inevitabile». L'adesione autentica ad un credo, ad una fede, non è mai esente da dubbi. Ma in ciò che dici sembra emergere una rottura definitiva. Ti consideri un post-cattolico? «Non credo alle definizioni e alle categorie della fede o dell'anima. Forse non posso più, onestamente, considerarmi del tutto cattolico secondo gli insegnamenti imposti dalla Chiesa, anche giustamente, a chi si accontenti di far parte rassicurante di una religione e rinunci all'impegno, alla libertà di viverla». Le tue riflessioni sono, o sembrano, agostiniane. È il principio che si ricollega alla fine? O c'è la possibilità di un'altra lettura? «Non c'è né principio né fine, né prima né dopo, né sopra né sotto, come ci insegna la filosofia orientale. C'è soltanto una successione di attimi del presente. E, anche dicendo questo, dobbiamo accontentarci del nostro povero linguaggio ormai deteriorato con la perdita dalla dimensione del mito. Per il nostro linguaggio, e non solo per esso, il grande dio Pan è morto, come annunciò Plutarco».

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