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di Lidia Lombardi L'orologio al centro dello scherzo di Borromini - una torre sinuosa come solo l'architetto del Canton Ticino sapeva inventare - è come un sole per chi arriva nella piazza dall'ombra di via del Governo Vecchio.

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Svettasul cortile dove gli alberi d'arancio pesano di frutti e i muri antichi mostrano due meridiane settecentesche. Ci stanno proprio bene qui, gli orologi. Perché il palazzo è l'Oratorio dei Filippini, il convento-collegio che Filippo Neri - il santo dei ragazzini, quello di «state bboni, se potete» - volle nel segno dell'accoglienza e della carità per i pitocchi romani. È come una città, adesso, l'Oratorio. Ospita carismatici organismi, dall'Istituto per il Medio Evo alla Biblioteca Vallicelliana. Ma proprio sotto la Torre dell'Orologio c'è l'ingresso a un'istituzione cittadina legata a doppio filo con il tempo. È l'Archivio Storico Capitolino, il luogo deputato alla conservazione della memoria di Roma. Luogo suggestivo. Nella sostanza e nella forma. Nella sostanza perché tiene in scaffali, cassettiere, armadi inventari, cataloghi, rogiti, atti del Comune sia Pontificio che Postunitario, archivi delle antiche famiglie romane (Orsini, Capranica, Cardelli, Brazzà). Insomma, carte dal Trecento al Novecento. 55 mila pezzi, che messi in fila occuperebbero otto chilometri. E ai quali si aggiungono 200 mila disegni e migliaia di pergamene. E veniamo alla forma. La torre dell'Orologio all'esterno, che segna con le tre campanelle e lo stendardo verde bronzo il confine tra il Rione V, Ponte, e il VI, Parione. Ma, dentro, che colpo d'occhio la prospettiva candida dei lunghi corridoi pavimentati in cotto: da una parte la teoria di stanze conventuali ora adibite ai servizi bibliotecari, dall'altra la sequenza delle finestre. T'affacci e vedi il cortile degli aranci - hortus conclusus ritmato da lesene - le forme barocche, le meridiane, il cielo squillante di Roma. Le scrivanie dei lettori sono sistemate in questa quiete lattiginosa. Ma altre postazioni sono nel cuore architettorico dell'Archivio-Oratorio. Eccola, la Sala Ovale, tutta nel segno di Borromini. In alto il gioco dei finestroni danzano con luce e ombre proiettate dal corridoio. Al centro un camino di marmo simula una grande tenda che si apre per mostrare i ceppi accesi. Perfetto il trompe l'oeil di gualdrappe, trine, riquadri che sembrano ricamati e alternano stelle - simbolo dei Chigi - a cuori palpitanti, quelli della Carità. Dice Maria Rosaria Senonfonte, che dirige l'Archivio: «La memoria di Roma è qui. Possiamo svelarla agli studiosi col sistema informatizzato. E ai cittadini, insieme agli spazi del Borromini, perché l'Archivio è aperto al pubblico nel week end. Ma il restauro dei documenti è il nostro problema. I fondi sono in calo, non riusciamo a programmare gli interventi. Il Comune ha grande attenzione per noi, ma non basta». Ora l'assessore Gasperini ha voluto accendere i riflettori sull'Archivio facendone la sede della mostra sui Testamenti dei Grandi Italiani. E la Fondazione del Notariato ha destinato 10 mila euro per schedare 62 volumi del '500. I Romani hanno l'occasione di scoprire un altro scrigno.

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