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Armi, in Europa è boom di acquisti. Aerei, razzi, siluri e blindati: +94%

Alessandra Zavatta
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L'Europa si arma. Con i venti di guerra che spirano da oriente i Paesi del Vecchio Continente corrono ad acquistare caccia, fregate e carriarmati. Tra il 2019 e il 2023 le importazioni di armamenti sono aumentate del 94% rispetto ai quattro anni precedenti. I contratti sono stati firmati soprattutto con gli Stati Uniti, il più grande esportatore mondiale con una quota di mercato salita al 42%. Un terzo delle consegne effettuate da Washington ha avuto come destinazione Paesi Nato. Non lascia dubbi il report appena pubblicato dallo Stockholm International Peace Research Institute: la corsa alle armi è più forte che mai con la guerra tra Russia e Ucraina che dilania il Vecchio Continente, il conflitto tra Israele e Hamas in Medio Oriente e l'attacco dell’Iran. In questo contesto l'Italia si è ritrovata ad essere il sesto esportatore al mondo, incrementando le vendite dell'86%. La Francia ha addirittura guadagnato il secondo posto scalzando la Russia. Mosca, a causa dello scontro con Kiev, dal 24 febbraio 2023 ha tagliato del 53% l'export di armi. Aerei, droni e missili adesso servono per l'operazione speciale in Ucraina e la Russia non può più permettersi di spedire all'estero troppi armamenti. Una quota da vendere sul mercato c'è comunque, la metà vola in India e Cina.

 

 

«Nel 2019 - spiega il rapporto dell'istituto svedese - il volume delle esportazioni russe era simile a quello dei venti anni precedenti, con 41 Stati come clienti. Nel 2023 le vendite si sono dimezzate e i Paesi riforniti sono scesi a dodici». XI Jinping, nonostante l'alleanza con Vladimir Putin, ha ridotto lo shopping di caccia e blindati dal Cremlino così come ha tagliato le forniture in arrivo da altri Paesi. La Cina le armi preferisce produrle in casa e può contare su due milioni di effettivi, 510 mila riservisti e 624 mila paramilitari. Al momento dello scoppio della guerra tra Russia e Ucraina l'esercito di Mosca aveva un milione 320 mila uomini e due milioni di riservisti. Lo scorso anno la Russia, che ha il più grande arsenale di armi nucleari, ha stanziato in bilancio 86,4 miliardi di dollari da destinare alle spese militari. E si è rifornita di droni in Iran e di missili balistici in Corea del Nord dall'amico Kim Jong-un. L’Iran, pur gestendo appena lo 0,2% delle vendite di armamenti a livello mondiale, ha visto lievitare l’export del 276%. Tre quarti del business è con Mosca. Teheran è comunque l’unico che sui report ufficiali appare come fornitore degli Houthi, i ribelli che dallo Yemen sparano missili contro i cargo diretti in Israele per protestare contro l’uccisione dei palestinesi a Gaza.

 

 

La spesa militare mondiale, secondo il Sipri Yearbook, nel 2023 ha raggiunto i 2.240 miliardi di dollari. Il 35% delle spedizioni statunitensi è volata in Medio Oriente. La torta se la sono divisa Arabia Saudita, Qatar, Kuwait e Israele. Il 28% è atterrato nell’Europa della Nato e il 4,7% in Ucraina. Per necessità belliche Kiev si è ritrovata nel giro di un paio d'anni ad incrementare del 6.633% le importazioni di armamenti. Il 55% delle armi sbarcate in Europa arriva dagli Usa, fino al 2018 la quota si fermava al 35%. Il 95% di quelle dirette a Roma ha il sigillo di Washington. L'Italia ha ridotto gli acquisti e incrementato le vendite, dell'86% per essere precisi. Il giro d'affari con i Paesi dell'Unione ha raggiunto i 61,5 miliardi di euro mentre l'export verso Stati extra-Ue è a quota 38,5 miliardi stando ai dati della «Relazione sulle operazioni autorizzate per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento» pubblicata dalla Camera dei deputati. L'Italia vende aerei da guerra (per 991 milioni), razzi e siluri (558,7 milioni), blindati (546,5 milioni) e apparecchiature elettroniche (350,48 milioni).

 

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