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Ucraina, il piano di guerra Ue: un milione di munizioni all'anno. Fondi anche dal Pnrr

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Produrre un milione di munizioni all'anno. È questo l'obiettivo del piano lanciato oggi dalla Commissione europea. Si tratta del terzo pilastro dell'approccio adottato lo scorso 20 marzo dal Consiglio per fornire urgentemente all'Ucraina munizioni terra-terra e di artiglieria e, se richiesto, missili. Il primo pilastro prevedeva l'invio di armi dalle scorte degli Stati, con il rimborso per un miliardo di euro in totale dal Fondo europeo per la pace.

Il secondo elemento introduce gli appalti congiunti per l'acquisto di munizioni - e su questo proprio oggi c'è stato l'accordo tra i Ventisette a livello di Consiglio - e il terzo riguarda appunto la produzione comune. "Ciò contribuirà a fornire più munizioni all'Ucraina per difendere i suoi cittadini e rafforzerà anche le nostre capacità di difesa europee - ha affermato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

Per aumentare la produzione la Commissione ha dovuto pertanto presentare una proposta di regolamento - chiamato Asap, che sta per Act in Support of Ammunition Production, ma volendo anche per as soon as possible - e mettere sul piatto una dotazione di 500 milioni di euro dalla riassegnazione di due strumenti, il Fondo europeo per la difesa e il futuro Edirpa, lo strumento volto a sostenere la collaborazione tra gli Stati membri nella fase degli appalti sulla difesa, da integrare con altrettanti 500 milioni messi dagli Stati membri come regime de minimis. E non è escluso che gli stati possano usare fondi del Recovery per finanziare specifici progetti industriali di produzione di armi. Lo strumento di ripresa e resilienza "è stato specificamente progettato per tre azioni principali. In primo luogo, la transizione verde, il secondo è la trasformazione digitale e poi c'è la resilienza - ha spiegato il commissionario Ue al Mercato interno, Thierry Breton -. Quindi anche aumentare la capacità industriale in azioni una tantum per sostenere progetti industriali, il che aumenterà la nostra resilienza e rafforzerà la nostra sicurezza, è chiaramente parte di questo".

Il piano coinvolge gli undici paesi con un'industria della difesa più forte, Italia compresa, e quindici aziende del settore a livello europeo. L'idea è quella di dare una corsia preferenziale al provvedimento per adottarlo entro giugno. Breton si dice "fiducioso che entro 12 mesi, con il giusto supporto e velocità, saremo in grado di aumentare la nostra capacità produttiva a 1 milione di munizioni all'anno".

Il commissario francese ha poi trasmesso il messaggio che anche l'Ue sostiene l'obiettivo della Nato di spendere il 2% del Pil per la difesa, target che al momento è un tetto ma che in molti nella Nato vorrebbero diventasse la base già nel prossimo vertice di luglio a Vilnius. "Tutti gli Stati membri sono ora impegnati ad aumentare la loro spesa per la difesa. Anche noi incoraggiamo fortemente a farlo, per salire almeno al 2% delle spese rispetto al loro prodotto interno lordo", ha detto Breton. "Ciò significa che siamo effettivamente impegnati a darci i mezzi e ad adattarci a questa nuova situazione geopolitica, che crediamo durerà per un po'", ha aggiunto respingendo i sospetti che l'Ue si fosse allontanata dal progetto di pace originario.

Intanto, dagli ambasciatori dell'Ue è arrivato il via libera alla decisione del Consiglio per l'approvvigionamento congiunto di munizioni e missili, sempre per il valore di un miliardo da attingere dal Fondo europeo per la pace, il citato secondo pilastro. Ora partirà la procedura scritta per l'ok definitivo atteso nei prossimi giorni. Come per tutte le decisioni prese relativamente alla politica estera e di sicurezza, servirà l'unanimità. Come ha fatto in passato l'Ungheria dovrebbe attuare un'astensione costruttiva per non bloccare il provvedimento, mentre riserve sono state espresse anche da Malta e Irlanda (due paesi non-Nato).

L'accordo prevede l'acquisto congiunto di munizioni e missili prodotti da operatori economici stabiliti o che producono nell'Ue (o in Norvegia), oppure assemblati nell'Ue con catene di produzione in parte extra europee.

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