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Usa, Biden rischia grosso: può perdere il controllo del Senato

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Paola Tommasi
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Nel rapporto con gli Stati Uniti, Giorgia Meloni è più che tranquilla. Ben sapendo che tra un mese il presidente Joe Biden sarà dimezzato e fra due anni probabilmente sostituito, la premier in pectore italiana per la sua legislatura quinquennale ha piuttosto stretto relazioni con gli apparati, dal Dipartimento di Stato alle genziane di sicurezza, che con la Casa Bianca. Forte con i deboli e debole con i forti.

Così il Presidente americano si presenta alle elezioni di metà mandato del prossimo novembre, fra 25 giorni, negli Stati Uniti. Con Vladimir Putin, indebolito dalla guerra in Ucraina, Biden può permettersi di fare la voce grossa, ma in casa, negli Usa, il debole è lui. Rischia di perdere il controllo del Senato e di dover affrontare gli ultimi due anni del suo mandato «azzoppato», con i repubblicani più forti in termini numerici e agguerriti nel fare opposizione e nel preparare la campagna presidenziale del 2024.

Non solo Russia, Covid, inflazione e rischio recessione, c'è un'ulteriore novità quest' anno: mai un ex Presidente Usa era stato attivo in politica dopo l'uscita dalla Casa Bianca come Donald Trump, che nel 2024 potrebbe ricandidarsi. Le elezioni di metà mandato sono da sempre viste come un giudizio sui primi due annidi operato di un Presidente e Biden non ci arriva certo con il vento in poppa. Anche la stella della sua vice, Kamala Harris, è offuscata. O meglio, non ha mai brillato.

Un'altra scommessa persa. Il rischio di perdere anche la maggioranza in almeno una delle due Camere, poi, è talmente alto che un'altra donna di punta del partito democratico americano, Nancy Pelosi, attualmente presidente della Camera, cerca collocazione, tra l'altro in Italia come ambasciatore. Nei seggi chiave in vantaggio sono i candidati repubblicani e, tanto dicono i sondaggi, i trumpiani in particolare. Proprio da come andranno le elezioni di novembre si vedrà se a correre per la Casa Bianca nel 2024 sarà di nuovo l'ex Presidente Trump oppure il governatore della Florida Ron De Santis oppure quello del Texas Greg Abbott.

A sinistra nessuno osa fare nomi alternativi a Biden per ora ma la faida è pronta a cominciare anche in quello schieramento proprio dopo novembre. Oltre al destino di Biden e Trump e dei loro rispettivi partiti, però, il voto sarà sulla direzione che gli americani vogliono che il proprio Paese prenda. I valori in gioco sono i più importanti, dall'aborto all'ecologia, fino all'annosa questione della detenzione delle armi. Le posizioni di repubblicani e democratici sono opposte su tutto. Circostanza che, a onor del vero, facilita la scelta degli elettori che hanno chiaro da che parte stare. Il vento tira a destra come in Italia e in Europa, per quanto i media vogliano far passare il messaggio opposto. Se dovesse perdere le elezioni di metà mandato, oltre alla figuraccia, Biden lascerebbe in sospeso diverse nomine di alto livello, incluso il settore militare e quello giudiziario, che faticherebbero ad essere confermate dalle competenti commissioni del Senato. Non solo, i Repubblicani sono pronti a chiedere commissioni di inchiesta su varie questioni che riguardano il figlio del Presidente, Hunter Biden, tra cui i suoi rapporti economici con la Cina e l'Ucraina, non due Paesi a caso. Così come sull'origine della pandemia Covid.

Fino ad oggi tutto è rimasto in sordina, mentre hanno avuto grande risalto le indagini sull'attacco al Congresso del 6 gennaio 2021. Se si rovesciano i rapporti di forza politici, anche le priorità dei magistrati americani potrebbero cambiare. Un giorno dopo la vittoria di novembre 2020 il mondo si rese conto della debolezza, anche fisica, del Presidente eletto e di lui negli anni hanno fatto notizia più le gaffes che le decisioni prese.

La maggioranza degli americani lamenta il peggioramento delle proprie condizioni economiche sotto la presidenza Biden e anche le politiche sull'immigrazione, da cui ci si aspettava tanto, hanno deluso. C'è poi il tema del ritiro dall'Afghanistan e il conflitto Russia-Ucraina che pendono come spada di Damocle sulla testa dell'inquilino della Casa Bianca. Motivo per cui nelle cancellerie internazionali non si prevedono sviluppi decisivi prima di novembre, sebbene lo scenario sia notevolmente peggiorato e il rischio di utilizzo di armi nucleari appaia sempre più concreto. Da questo punto di vista, anche un solo giorno può fare la differenza e far passare il problema in secondo piano rispetto alla chiamata alle urne è un ulteriore elemento di discussione tra democratici e repubblicani, che potrebbe determinare l'esito del voto di novembre. Joe Biden ha una grande responsabilità: non solo la sua Presidenza è sotto il giudizio democratico degli elettori, ma più ampiamente il ruolo degli Stati Uniti nel mondo e la direzione che non solo l'America ma indirettamente anche i Paesi alleati prenderanno su tematiche di interesse globale. Non ultima quella del gas, aumento dei prezzi e difficoltà nella distribuzione, che Biden ha provato a risolvere a suo modo, riallacciando rapporti con Paesi come Venezuela e Arabia Saudita i cui leader politici il presidente Usa fino a poco tempo fa considerava rispettivamente dittatore (Nicolás Maduro) ed assassino (Mohammed Bin Salman). 

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