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Ucraina, Mario Draghi vola negli Stati Uniti da Joe Biden: in ballo armi più pesanti

Pietro De Leo
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Domani lunedì 9 maggio Mario Draghi vola negli Stati Uniti, dove martedì vedrà il Presidente Joe Biden. Trasferta, questa, di evidente complessità. Se in politica tutto ha sostanza rileva, certo, il fatto che il premier italiano sia il primo leader europeo del G7 ad incontrare l'inquilino della Casa Bianca dall'inizio dell'invasione russa in Ucraina. Rivela, poi, anche il fatto che Draghi l'11 verrà insignito del «Distinguished Leadership Award», un riconoscimento del think tank Atlantic Council assegnato a quelle personalità che, con i risultati nei rispettivi campi d'azione, «incarnano l'essenza dei pilastri delle relazioni transatlantiche».

Non sarà, peraltro l'unico italiano premiato, nella lista c'è infatti anche Claudio Descalzi, amministratore delegato Eni. È anche in queste ritualità che si definisce il pieno ancoraggio di una leadership, e quella di Mario Draghi ha riallineato l'Italia in un pieno asse atlantico, dopo certi sbandamenti del Conte 2 verso alcune suggestioni filocinesi.

In queste settimane Draghi ha espresso un'impostazione mai tintinnante nel seguire l'approccio americano all'invasione in Ucraina. Senza sfumature, a differenza di quanto, ad esempio, ha fatto il presidente francese Emmanuel Macron (il non ha fatto mancare prese di distanza da certe sgrammaticature verbali di Biden che hanno aperto ai rischi di escalation) e, in misura ancora maggiore il cancelliere tedesco Scholz. Draghi, invece, no. E qui entriamo nell'altro lato della complessità, ossia la dimensione interna.

Il Presidente italiano ha a che fare con una maggioranza dove, Pd a parte, non mancano perplessità (con svariate sfumature) circa la politica di invio di armi all'Ucraina. E soprattutto l'eventualità di un loro utilizzo, oltre che per la difesa, anche per attacchi sul suolo russo. Queste perplessità sono state esplicitate in maniera più definita da Giuseppe Conte, il quale ha chiesto che il Presidente del Consiglio riferisse alla Camera prima della trasferta negli Stati Uniti. Inascoltato: Conte non parlerà prima del 19 maggio.

A far da cornice a tutto questo, peraltro, c'è un'opinione pubblica con i suoi dubbi e alle prese con i contraccolpi della guerra. Basti citare, a titolo di esempio, il sondaggio di qualche giorno fa realizzato da Emg per Agorà, su rai 3, secondo cui 58% degli intervistati non è favorevole al trasferimento delle attrezzature militari.

Un numero che definisce quale sia il punto di equilibrio per i governi europei questo scenario bellico: da un lato, proteggere la libertà degli ucraini e disinnescare ulteriori ambizioni territoriali di Putin. Dall'altro lato, però, assicurare la dignità sociale di popolazioni interne già fiaccate da due anni di Covid. Un equilibrio difficile, che rende non sempre sovrapponibili gli obiettivi europei a quelli americani. 

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