tragedia vicina

Grandi media, smartphone e social: la guerra diventa villaggio globale con l’informazione immediata

Gianpiero Gamaleri

Polonia 1939 - Ucraina 2022. Apparentemente eventi-fotocopia. Da una parte due dittatori spinti da lucida follia, dall'altra due popoli condannati a essere cancellati sotto i colpi di maglio di una guerra lampo. Nel primo caso ci vollero sei anni e un conflitto mondiale senza esclusione di colpi per tagliare la testa del serpente e riprenderci la nostra vita. Ma oggi, come si concluderà la "battaglia di Kiev"? Ottantatre anni non possono essere passati invano. Allora c'erano i reportage sbiaditi dei giornali dell'epoca e qualche film Luce nelle sale cinematografiche che davano un'idea sommaria e molto vaga dei fatti, spesso compiacente nei confronti del più forte. Oggi c'è una comunicazione capillare, pervasiva, che sfugge a interpretazioni di comodo e a censure. Una comunicazione fatta dai grandi mezzi di informazione e un'altra capillare fatta dai social, in cui ogni smartphone è diventato un microfono, una telecamera, un canale di collegamento. A Varsavia si vedeva l'insieme di una città straziata, a Kiev si vedono i volti delle persone e i mille episodi della guerra. Così ci immedesimiamo in una tragedia che potrebbe essere la nostra, e che anzi è anche la nostra di uomini e donne di un villaggio globale che non è uno slogan ma una realtà concreta.

 

  

 

Rivediamo qualche immagine ripresa dagli speciali che ci arrivano a flusso continuo. Quella che ha già fatto il giro del mondo - sulle prime pagine dei giornali, in tv, sui social - è del volto insanguinato di Olena Kourilo, simbolo dei bombardamenti che ci dice: «Vivere sotto Putin? Mai: meglio morire». Non solo volti, ma tanti fatti, come le immagini, riprese da una finestra, del carro armato che devia intenzionalmente dal suo percorso per puntare su un'utilitaria, stritolarla e "mangiarsela" come nel film "Lo squalo", con le voci inorridite di chi riprende la scena. Un terribile autogol per la "causa russa". Sapremo solo dopo che il guidatore si è salvato. E poi, nel rifugio, i volti di tanti bambini che affidano la normalità ai loro pennarelli sulla carta. E quello della bambina incorniciata nel cappuccio di pelo rosa di cui non ascoltiamo la voce ma vediamo il tremore del labbro per la paura. E le immagini dei corpicini dei neonati prematuri adagiati a terra su coperte nella cantina dell'ospedale, qualcuno attaccato alla bombola per l'ossigeno. Poche ore prima erano tranquilli nelle incubatrici o nelle culle termiche.

 

 

Tutto questo ci fa chiedere: come è stato possibile passare in un momento dal benessere alla catastrofe? Può una mente umana concepire e realizzare tutto questo che oggi vediamo in tempo reale sotto con i nostri occhi? La faccia di Putin dietro la monumentale scrivania divide lo schermo con la folla in fuga che si accalca nella stazione di Kiev. Quanto può durare tutto questo? L'immediatezza dell'informazione ci dà la speranza che questa volta non occorreranno sei anni per ristabilire la giustizia e l'umanità?