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Caos Venezuela. E l'Italia blocca Guaidò

Juan Guaidò

Bocciata la proposta dell'Unione Europea

Silvia Sfregola
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Il Venezuela di Juan Guaidò trova due ostacoli in Occidente per la propria legittimazione: Atene e Roma, che l'autoproclamato presidente a interim del Paese latinoamericano vuole rassicurare: "Non finiremo come la Libia". Il giorno dopo la riunione dei ministri degli Esteri europei a Bucarest, emerge che l'unità tra i Ventotto in merito alla sorte di Nicolas Maduro è solo di facciata. Si è trattato, hanno riferito fonti all'agenzia France Presse, di una riunione "difficile" e "tesa", che ha costretto la cancellazione di altri punti dall'ordine del giorno e alla fine ha spinto un ministro a dire: "Non abbiamo una politica estera comune". Il topolino partorito dalla montagna dei Ventotto è stato il 'gruppo di contattò di Paesi europei e latinoamericani che "nell'arco di 90 giorni" lavorerà a una uscita dalla crisi attraverso nuove elezioni. Ne fanno parte, tra gli altri, l'Italia, la Francia, la Germania, il Regno Unito, la Spagna, l'Ecuador e la Bolivia. "Non significa che si voglia guadagnare tempo, ma di accompagnare il paese a elezioni libere", ha spiegato, secondo fonti di Afp, Federica Mogherini a chi - come Spagna, Francia, Germania e Regno Unito - ha già lanciato un ultimatum a Maduro che dovrebbe portare al riconoscimento di Guaidò lunedì prossimo se domenica non saranno annunciate elezioni presidenziali anticipate. "La scadenza dei 90 giorni non è un ultimatum", ha insistito l'Alto rappresentate della Politica estera europea per cercare di convincere l'atro schieramento, incarnato da Grecia e Italia. "Se nel corso del lavoro del gruppo emerge l'impossibilità di avviare una dinamica - ha aggiunto ci si ferma; se emergono elementi positivi, il gruppo può decidere di continuare". Poi, la conferenza stampa, alla quale ha assistito, fatto raro, il ministro greco George Katrougkalos. La Grecia, il cui governo ha preso le difese di Maduro, non si è esplicitamente opposta al riconoscimento. È stata l'Italia a fermarlo. La ministra degli Esteri svedese, Margot Wallstrom, si era fatta promotrice di una dichiarazione che avrebbe spinto l'Ue a riconoscere Guaidò entro la fine della settimana. L'Italia, hanno spiegato fonti diplomatiche, ha invece bloccato l'iniziativa, che richiedeva l'unanimità dei 28 Stati membri. La linea di Roma sembra dettata da Manlio Di Stefano: "Il gruppo di contatto è, di fatto, una nostra idea, un'idea italiana. "Il governo italiano non sostiene né Maduro né Guaidò perché non siamo tenuti e non ci interessa farlo", ha scritto il sottosegretario agli Esteri, reagendo a quanto aveva affermato lo stesso autoproclamato presidente a interim in una intervista: "In Venezuela - aveva affermato - oggi non c'è il rischio di una seconda Libia, consiglio al sottosegretario Di Stefano di informarsi. Non c'è questo rischio perché oggi il 90% dei venezuelani vuole il cambiamento". Se l'Ue fatica a farsi sentire da Caracas, gli Stati Uniti non hanno remore, dopo aver avviato un braccio di ferro che sembra sempre più ricordare quello che vide vincente nel 1990 George Bush contro il dittatore di Panama, Manuel Noriega (fino a qualche anno prima alleato di Washington). "Ieri - ha affermato il consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton - ho twittato che gli auguro un lungo e tranquillo ritiro su una bellissima spiaggia lontana dal Venezuela. Prima approfitta di questa opportunità, più è probabile che possa avere un rifugio tranquillo e tranquillo su una bella spiaggia, invece di ritrovarti altrove, sempre su una spiaggia, ma a Guantanamo". Ankara, Mosca e Pechino invece, restano con il presidente eletto, sebbene il governo cinse abbia fatto sapere essere in comunicazione con tutte le parti coinvolte nella crisi in Venezuela "attraverso vari canali". Guaidò ha provato a rassicurali, poiché sono anche creditori di Caracas: "Quello che si addice meglio a Russia e Cina è la stabilità del Paese e un cambio di governo", ha detto, ma, ha sottolineato successivamente, Maduro deve lasciare il potere: è necessario un "processo di transizione che culmini nello svolgimento di elezioni libere".

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