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Nuovo allarme bomba in metro a San PietroburgoIl kamikaze è un kirghiso di 22 anni

Katia Perrini
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Le autorità russe hanno confermato il nome del kamikaze che si è fatto esplodere lunedì nella stazione Sennaya Poloshad della metropolitana di San Pietroburgo, uccidendo 14 persone e ferendone 49: è Akbarjon Djalilov, 22enne kirghiso nato nella regione di Och. Inoltre, sulla borsa che conteneva la seconda bomba, non esplosa, trovata in un'altra stazione della metropolitana, Ploshchad Vosstania, sono state trovate tracce del Dna del kamikaze. La stazione colpita è stata di nuovo chiusa, stamane, dopo che il dipartimento locale del ministero delle Emergenze ha ricevuto una telefonata anonima, che parlava della presenza di ordigni. I resti dell'attentatore sono stati trovati nel terzo vagone del treno. Tra le vittime ci sono russi, bielorussi, kazaki e uzbeki. L'attentato non ha ancora una rivendicazione. Il presidente russo Vladimir Putin è rientrato a Mosca dopo la sua visita a San Pietroburgo. Il portavoce del Cremlino ha fatto sapere che la decisione sulla necessità di ricorrere ad aiuti stranieri nelle indagini verrà presa in considerazione dagli inquirenti russi, non escludendo che Mosca possa ricorrere all'aiuto di altri se necessario. Il presidente Usa Donald Trump ha offerto l'aiuto americano nelle indagini. Putin ha avuto un colloquio telefonico a tre con Angela Merkel e Francois Hollande. Il cancelliere tedesco e il presidente francese hanno ribadito al presidente russo la loro partecipazione e le condoglianze. I leader hanno concordato di intensificare gli sforzi comuni contro il terrorismo internazionale, a cominciare da maggiori e più rapidi scambi di dati e informazioni. Oggi in visita a Mosca c'è il ministro dell'Interno Marco Minniti per incontri con l'omologo Vladimir Kolokoltsev e il segretario del Consiglio di sicurezza nazionale, Nikolai Patrushev. La Russia e l'Italia, ha assicurato il capo del Viminale, puntano a un rafforzamento della cooperazione nella lotta al terrorismo, diventata ancora piè necessaria dopo l'attentato di ieri. "Siamo in una situazione difficile, basta guardare la sequenza degli attacchi: Berlino, Londra e adesso San Pietroburgo. È chiaro che la situazione ha caratteristiche da meritare di essere costantemente monitorata". Ha generato qualche polemica la decisione del governo di Berlino di non illuminare la Porta di Brandeburgo: niente colori della bandiera nazionale russa perché San Pietroburgo non è gemellata con la capitale tedesca. Quello di illuminare la Porta di Brandeburgo dopo i maggiori atti di terrorismo era ormai diventato una specie di marchio distintivo della città, un simbolo di solidarietà oltre i confini e una risposta contro la paura. L'ultima volta sono stati i colori dell'Union Jack ad avvolgerla, dopo l'attacco a Westminster Bridge. Sui social media si è scatenato il dibattito. Su Twitter la stragrande maggioranza dei commenti mette in rilievo "l'ipocrisia" della scelta e secondo la Zeit Online, c'è chi vede nel gesto i segni di una "nuova guerra fredda". Intanto all'indomani della bomba nella metropolitana, due poliziotti sono stati uccisi ad Astrakhan nella Russia meridionale per un attacco islamista. La regione di Astrakhan su Mar Caspio si trova alla frontiera con il Daghestan, una delle aree del Caucaso russo dove agiscono gruppi ribelli jihadisti.

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