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Bocciata la pizza con l'ananas, la catena americana Domino's lascia l'Italia

Tommaso Carta
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Nel Paese che ha inventato la pizza, l'Italia, quella modello statunitense, al gusto «pepperoni» o condita con l'ananas o il pollo al barbecue, sembra non aver sfondato. I punti vendita italiani di Domino's Pizza - gestiti da un concessionario- in questi giorni hanno abbassato le serrande, sembra per non riaprirle. Bloomberg riporta che la società aveva 10,6 milioni di euro di debiti alla fine del 2020, secondo gli ultimi rapporti annuali certificati.

 

Le pizzerie a marchio Domino' s erano state aperte in Italia a partire dal 2015, tra Milano, Torino, Bergamo, Bologna, Roma, e il Veneto, ad inizio anno se ne contavano ancora 29. La pandemia di Covid, però, ha rivisto completamente i piani iniziali che parlavano dell'apertura di poco meno di 900 punti vendita entro il 2030. Il business di Domino' s si basa soprattutto sulle consegne a domicilio. Un settore in cui, tra 2020 e 2021, a causa delle restrizioni legate alla pandemia, la concorrenza è aumentata a dismisura. Da parte di pizzerie forti di un gusto e una tradizione Made in Italy che non sembra conosca fasi di stanchezza per i consumatori italiani. Ora alcuni punti vendita della catena in diverse città potrebbero riaprire con un altro marchio.

Non è la prima volta che una pizza a marchio «Usa» fatica ad affermarsi in Italia. La stessa Pizza Hut, leader mondiale del settore, ha ottenuto nella penisola una quota molto marginale del mercato. Mentre, al tempo stesso, diventava sempre più facili per gli amanti della rossa «originale» trovare ristoranti che in ogni angolo del mondo ripropongono alla perfezione la versione «napoletana», spesso grazie all'arruolamento proprio di pizzaioli italiani. Una «vittoria» dovuta non solo al privilegio degli italiani per i gusti tradizionali, ma anche al vero e proprio tsunami che risponde al nome di Covid e si è abbattuto sull'economia. Col risultato di portare molte aziende italiane ad affrontare quel processo di «modernizzazione» rimandato per anni. Con delivery (nel caso del cibo) o vendita online (nel caso dell'abbigliamento). E così ne ha fatto le spese, ad esempio, un altro storico marchio statunitense come Gap, emblema della moda e dello stile americani, che alla fine del 2020 aveva annunciato la chiusura, entro un anno, di tutti i punti vendita italiani. Che nel frattempo sono confluiti in Ovs.

 

Altro aspetto che può aver influito è anche la grande stagione dei viaggi all'estero partita alla fine degli anni '90 con tariffe degli aerei sempre più scontate. Se prima i prodotti americani consentivano di fare un'esperienza altrimenti difficile nella realtà, oggi (dopo il Covid, assai meno, a dir la verità) l'esperienza si fa direttamente negli Stati Uniti. O, se proprio non si può, si compra online.

Resta la curiosità su quello che sarà invece il destino di Starbucks, che sembra ancora nella fase ascendente. Accolta con molto scetticismo a Milano, la catena del cappuccino all'americana starebbe per aprire due nuove filiali a Roma e Firenze. Si vedrà. Il caffè, come la pizza, è un tema sul quale gli italiani non amano scherzare.

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