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Monte dei Paschi di Siena, accordo tra banca e sindacati per 3500 esuberi. Previsti incentivi e coperture assistenziali

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Andrea Giacobino
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Alla vigilia della semestrale di oggi del Monte dei Paschi di Siena e a due giorni dal semaforo verde dato dalla Commissione Europea ai nuovi impegni assunti dal governo italiano per la privatizzazione di Mps, presupposto fondamentale per procedere all'assemblea che dovrà approvare l'aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro, ieri è stato raggiunto l'accordo sul piano industriale tra la Fabi e le altre organizzazioni sindacali con la banca. Un accordo contenuto nel piano industriale 2022-2026 dell'ad Luigi Lovaglio e che favorisce ulteriormente l'uscita dello stato da Mps contestualmente all'amento di capitale che, dopo l'ok della Bce, dovrebbe partire il prossimo 12 ottobre per concludersi entro il prossimo novembre. L'accordo definisce il piano per l'uscita, entro il 30 novembre 2022, di 3.500 lavoratrici e lavoratori attraverso il Fondo di solidarietà: le uscite del personale verranno gestite con prepensionamenti, su base volontaria, fino a sette anni. Con lo stesso accordo, inoltre, sono stati inoltre delineati i presupposti per un prossimo ricambio generazionale: nel dettaglio, a fronte delle uscite, l'accordo stabilisce che i sindacati e i vertici del Monte si incontreranno per definire, nell'arco del piano industriale, un programma di assunzioni con un rapporto di 1 ingresso ogni 2 uscite. Per le uscite è stato definito un incentivo pari all'80% della retribuzione ordinaria netta parametrata su base annua o dell'85% qualora la retribuzione ordinaria netta mensile sia inferiore a 2.850 euro.

 

 

«L'accordo di oggi - ha commentato ieri Franco Casini, segretario nazionale e amministrativo Fabi e coordinatore Fabi nel gruppo Mps - rappresenta un'ulteriore conferma dell'alto senso di responsabilità che caratterizza sia le organizzazioni sindacali sia le lavoratrici e i lavoratori di Mps». Oggi, come detto, Lovaglio presenterà la semestrale: gli analisti stimano un utile netto di 14 milioni nel secondo trimestre, in linea con lo stesso periodo del 2021. La crisi di governo, che tuttavia potrebbe congelare il dossier Mps rimettendolo al nuovo esecutivo, rischia anche di far saltare un'operazione di sistema a cui le banche italiane guardano con interesse: il progetto del Tesoro e di Amco per mettere in sicurezza una parte dei 300 miliardi di crediti garantiti dallo Stato. Secondo quanto riportato ieri dall'agenzia Mf-Dow Jones, infatti, il piano, dopo una lunga interlocuzione la DgComp di Bruxelles avrebbe quasi concluso il suo esame e, tra fine mese e settembre, potrebbe dare luce verde. Se non che, la caduta del governo Draghi e il voto rischiano di scombinare i piani. Sembra infatti che a Roma non sia stato ancora chiarito se il progetto possa rientrare o meno negli affari correnti che un esecutivo dimissionario può affrontare. Tradotto: il dossier rischia di finire in eredità al futuro inquilino del Mef che potrebbe riprenderlo in mano così come archiviarlo definitivamente.

 

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