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Non lasciate il Monte dei Paschi di Siena nel guado: urge una soluzione tempestiva per tutelare il risparmio

Angelo De Mattia
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Ad intermittenza si ripresenta l'ipotesi di una soluzione «di sistema» del problema Montepaschi, ora che la possibilità dell'aggregazione da parte di Unicredit è definitivamente venuta meno e sarà inevitabile conseguire una proroga del termine (il prossimo 31 dicembre) entro il quale, secondo gli accordi con la Commissione Ue, si sarebbe dovuto dismettere la partecipazione del Tesoro di oltre il 64%. Tuttavia, questo tipo di soluzione - che, secondo qualche fonte, sarebbe voluta anche dal Premier Draghi - non ha finora trovato conferme. Certo, avere impostato una trattativa da parte del Tesoro, con Unicredit quale unico potenziale contraente e con la scadenza della fine d'anno come termine perentorio per concludere il negoziato stante l'accordo con Bruxelles, mentre si escludeva tassativamente l'ipotesi "stand alone", cioè la permanenza autonoma del Monte, senza concentrazioni con altri istituti, è stato un errore gravissimo che ha messo il potenziale acquirente nella migliore delle condizioni. Si tratta, ora, di porre rimedio all'errore definendo approfonditamente i passi da compiere, innanzitutto conseguendo il riconoscimento di un tempo lungo entro il quale attuare la dismissione senza, dunque, che venga contestato al Tesoro il divieto di aiuti di Stato, per di più difficilmente configurabile in materia, stanti le ragioni per le quali si è arrivati all'attuale situazione. Ma poi occorre chiarezza sulla strada che si imbocca, a maggior ragione dopo aver imprudentemente ribadito, nel suddetto negoziato, la ricordata soluzione «stand alone», che, invece, ora, visti i risultati trimestrali dell'Istituto, non appare così campata in aria, come ripetutamente si è voluto far credere.

 

 

Pure a intermittenza, ritorna l'esame delle ragioni per le quali si è arrivati alle gravi difficoltà dell'oggi, partendo dalla sciagurata operazione, autorizzata, di acquisto dell'Antonveneta, ma anche sottolineando l'ampia rete di consensi di cui godeva, all'epoca, innanzitutto tra le forze politiche, ma anche a livello sociale, istituzionale e finanche religioso, il presidente dell'istituto Giuseppe Mussari. È vero. Tuttavia, occorre aver presente che molto di questa vicenda si è saputo successivamente, di pari passo con la conoscenza di informazioni legittimamente derivanti dalle diverse cause promosse dopo l'operazione, dagli abbondanti materiali delle riunioni della precedente Commissione parlamentare d'inchiesta sulle banche, presieduta da Pierferdinando Casini, e di quella attuale, presieduta da Carla Ruocco, nonché da iniziative giornalistiche d'inchiesta. All'inizio dell'acquisizione di Antonveneta, anche per l'autorizzazione concessa e perché si erano verificati attacchi alla Banca d'Italia, anche da parte di soggetti di rango istituzionale che, utilizzando la vicenda, andavano ben oltre, quasi per riprendere precedenti contrasti in una situazione che sembrava da cogliere favorevolmente, si registrò una diffusa valutazione, da parte di osservatori ed esperti,non negativa dell'acquisizione in questione. Successivamente, alla maggiore conoscenza della vicenda sono sopravvenute critiche, nonché pesanti rilievi. Ora, però, ribadita la genesi di questo caso, la soluzione di sistema, sia voluta o no dal Premier, può essere una via da percorrere. Ma è necessario avere la convergenza di intermediari bancari e finanziari che aderiscano a tale ipotesi, alla stregua di quel che accadde, sia pure in un'epoca enormemente diversa dall'attuale e con ordinamenti e opportunità che oggi non esistono più, per il caso dell'Ambrosiano, nel 1981, in una notte liquidato e fatto risorgere come Nuovo Banco Ambrosiano, con il concorso di un «pool» di banche. Da tale Istituto, con una serie nutrita di operazioni di aggregazione si è arrivati, alla fine, all'attuale Banca Intesa, a sua volta, aggregatasi con il SanPaolo. La condizione del vecchio Banco Ambrosiano, a cominciare dai legami che risultarono con la grande criminalità e i poteri occulti, non è minimamente paragonabile a quella del Monte. Ciononostante una soluzione efficace e tempestiva fu trovata, tutelando i risparmiatori e mantenendo in vita l'istituto.

 

 

In ogni caso, che si tratti di un «pool» di istituti o di un altro, singolo, potenziale acquirente (qualcuno cita un possibile interesse delle Generali, ma che, per ora, non trova alcun valido riscontro) occorre lavorare sin d'ora alla nuova ipotesi, pur potendo fruire, il Tesoro, di un tempo che si spera lungo, come si è detto. Vi è l'esigenza di una sorta di «riscatto» dopo la fine inconcludente del negoziato con Unicredit. L'ex presidente della Bce, Mario Draghi, e l'ex direttore generale della Banca d'Italia, Daniele Franco, hanno da affrontare una prova che sarebbe assurdo non superare. Si tratta del campo elettivo in cui possono dimostrare il livello della loro riconosciuta competenza e del loro prestigio, a cominciare dal livello europeo. Sono i fatti concreti che debbono parlare e non si può dubitare che ciò possa accadere. Diversamente, ci si fermerebbe alle sole parole con le quali è molto facile tributare onori. Dice un antico proverbio-monito napoletano «Chiacchiere e tabacchiere il Banco di Napoli non le impegna». Finora sono stati spesi per il Monte più di 20 miliardi. È un imperativo categorico adesso dare le risposte giuste ai risparmiatori, ai lavoratori dell'Istituto, all'economia dei territori. La Banca più antica al mondo non può continuare a stare in mezzo al guado.

 

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