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La Consob accende un faro su Cairo e il gruppo Rcs: il retroscena su una possibile vendita

Luigi Bisignani
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Caro direttore, nella grande aia del potere due galletti stanno vivendo momenti di nervosismo e tensione. Si tratta di Franco Bernabè e Urbano Cairo, entrambi lanciati da altrettanti grandi talent scout: Francesco Cossiga, per il boiardo di stato vipitenese, e Marcello Dell’Utri, per l’ex rampante businessman, che li introdussero nel magico mondo dei Servizi d’intelligence e in quello ancora più dorato di Silvio Berlusconi. Entrambi riparatisi con ottimo tempismo sotto l’ombrellone protettivo del «Circo a 5 Stelle», ora però temono per il loro futuro. Per il brutto pasticcio della vendita del sede di via Solferino, Cairo, padre-padrone di Rcs, dove controlla, con l’irritazione del comitato di redazione, perfino occhielli e didascalie, adesso si trova contro centri di potere da non sottovalutare: i terribili e potentissimi americani del fondo Blackstone, il tribunale di Milano e perfino il re di Spagna, infastidito per la destituzione del jefe di Rcs Spagna Antonio Fernández Galiano Campos - accomiatato con un comunicato di appena 5 righe dopo il suo trentennale servizio presso l’Unidad Editorial - con il suo fedelissimo Cfo Marco Pompignoli.

 

 

Ma una tegola ancor più grossa gli sta per cadere in testa dalla Consob, dove quel galantuomo di Paolo Savona sta per convocare la Commissione e mettere sotto pressione il presidente di Rcs per conoscere i motivi per i quali, nel bilancio di Rcs MediaGroup, non è stata accantonata a fondo rischi la cifra del risarcimento monstre di 300 milioni di dollari per Rcs e altri 300 come persona fisica richiesti dal colosso statunitense dinanzi al Tribunale di New York. Accantonamento doveroso per un bilancio «veritiero e corretto», come richiede il codice civile. Con questa spada di Damocle sulla testa il patron del Torino, per l’ennesimo anno salvo per un pelo dalla serie B, sta facendo «il giro delle banche» per avere aiuto, magari pensando di vendere in tutta fretta l’impero editoriale che controlla in Spagna (ElMundo, Marca ed Expansion) dove l’ingresso nel Paese iberico di Vivendi nel Gruppo Prisa di El Pais e As, può rappresentare un ulteriore pericolo.

 

 

Ma se Cairo non ride, Bernabè certo non si diverte. Candidato-prezzemolo nell’era Conte, ha avuto ora un parziale colpo di fortuna, l’ennesimo, visto che il suo vecchio amico Mario Draghi, come sempre contro tutto e tutti, a partire dal Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, gli ha trovato una cadrega a Taranto, come presidente dell’ex Ilva, la più grande acciaieria d’Europa del Gruppo Mittal che una iron lady, Lucia Morselli, sta rilanciando. Ma Bernabè fa i capricci e nonostante l’azionista gli abbia garantito la manleva, ancora si fa attendere nonostante in vista ci sia l’approvazione del bilancio. Forse perché, prima di decidere se andarci, sta cercando riservatamente di capire se, assieme ad altri suoi due vecchi sodali, Alessandro Profumo di Leonardo e Francesco Caio di Saipem, può mettere i bastoni tra le ruote a un’intesa molto vantaggiosa tra la stessa ex Ilva, la Fincantieri di Giuseppe Bono, Italimpianti, e Snam che darebbe vita ad un grande progetto per un acciaio europeo davvero «green», accordo che però vedrebbe ridimensionato il suo ruolo di illuminato fustigatore di uomini e cose. O magari, in cuor suo, prima di andare giù al Sud, spera in un dirottamento last-minute in Rai, che gli darebbe quella visibilità di cui al momento può godere solo nelle tanto agognate ospitate a Otto e mezzo della sua preferita compaesana Lilli Gruber.

 

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