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Fabiana Dadone, miracolo della ministra: doppio incarico al suo dirigente. Non si può ma la Corte dei Conti dice sì

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Filippo Caleri
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La confusione regna sovrana negli uffici dello Stato sul rispetto di alcuni principi cardine che regolano le attività tra dirigenti e organi politici. Accade così che la Corte dei Conti abbia dato il visto alla registrazione del decreto che conferisce l'incarico di coordinatore dell'Ufficio per le politiche dello Sport della presidenza del consiglio a Giovanni Panebianco. Lo stesso che è però già stato nominato dal ministro delle Politiche Giovanili del governo Draghi, la grillina Fabiana Dadone, capo di gabinetto del suo dicastero. Un doppio incarico dunque che, senza togliere meriti all'eccellente curriculum del dirigente, contravviene pere) a un paletto che la legge pone a salvaguardia dell'indipendenza dell'amministrazione. E cioè quello per il quale deve essere sempre assicurata una separazione tra incarichi di gestione amministrativa e quelli di supporto alla politica.

Una regola basilare che, nel caso di Panebianco, non è bastata a impedir gli il doppio lavoro. I magistrati contabili si sono basati sulla dichiarazione resa dal Dipartimento dello Sport sulla mancanza di incompatibilità, convinti anche dal fatto che l'incarico all'Ufficio dello Sport è reso a titolo gratuito. Ma è stata la stessa Corte a far presente che si tratta di uno strappo alla regola, dunque stressando al massimo le interpretazioni legislative. Così, conscia dello tsunami che potrebbe creare, ha stoppato in anticipo il possibile riferimento da parte di altri aspiranti al doppio incarico al precedente creato dall'atto «vistato» per Panebianco.

I togati (che controllano la legittimità degli atti della presidenza del consiglio) hanno spiegato che si tratta di un caso talmente peculiare che escludono che la fattispecie in questione possa «costituire, per il futuro, paradigma per consentire deroghe al principio di separazione tra incarichi di natura amministrativa -politica di supporto all'attività di governo e incarichi di natura dirigenziale aventi con tenuto gestionale».

Un bel burocratichese per dare subito il semaforo rosso alla carica di rampanti alti commis pubblici che, grazie alla contiguità con il livello politico, non avrebbero difficoltà a cumulare incarichi sia di natura amministrativa sia politica. Anche se, poi, non serve un esperto di giurisprudenza per comprendere che la specificazione della Corte dei conti potrebbe non bastare al giudice davanti al quale sia sollevato un eventuale ricorso da chi accampasse di ottenere lo stesso diritto. E non è l'unica svista della Corte dei conti che, secondo i rumors, continua anche a registrare decreti che affidano incarichi a interim di capi degli uffici alla presidenza del consiglio nonostante ci siano decine di dirigenti a spasso in grado di prenderne la guida. Fin qui la distinzione del sottile confine, della zona grigia nella quale il diritto amministrativo, decide ciò che si può fare e cosa no.

Ma nel caso del dicastero della Dado ne c'è anche un risvolto da segnalare, sebbene ancora confinato nel campo del gossip. A scendere nella struttura del ministero guidato dalla Dado ne si trova un capo dipartimento Marco De Giorgi e un vicecapo di gabinetto, Daniele Frongia, nominato il sette maggio scorso dopo l'addio alla sindaca Virginia Raggi. L'ex vicesindaco di Roma non è ovviamente un burocrate. La sua nomina si basa sulla possibilità di dare incarichi a personale esterno, dunque a tempo, sulla base dell'articolo 19 comma 6 del dlgs 165 del 2001. Dunque i suoi compiti e i suoi compensi sono limitati. Ma c'è sempre qualche spazio da riempire nell'organigramma. In particolare sotto De Giorgi ci sono due direzioni generali, una occupata regolarmente, e una attualmente vacante per la quale stata già attivata la procedura di interpello. E cioè la ricerca di candidati per riempirlo con un bando interno alla pubblica amministrazione. Un appello caduto nel vuoto. Chissà che alla fine Frongia non tenti la mossa del cavallo per andare a occuparlo.

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