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Come salvare i risparmi dalla terza guerra mondiale

Franco Bechis
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La possibile guerra fra Stati Uniti ed Iran suscita qualche preoccupazione ai mercati di tutto il mondo, che però non sembrano sopravvalutare lo scenario. Ieri c'è stata la prima prova alla riapertura di molte piazze finanziarie (anche piazza Affari era in funzione nonostante la festività della Epifania), e bisogna dire che non si è verificato il cataclisma che qualcuno alla vigilia temeva. Gran parte delle borse hanno chiuso negative ma di poco: scese di mezzo punto Milano, Londra, Parigi e Madrid e di poco di più (-0,7%) Francoforte. Sono andati su i titoli di compagnie petrolifere e in Italia ne ha beneficiato pure l'Eni (titolo cresciuto dell'1,5%). Stessa cosa è accaduta con titoli di gruppi forti nei sistemi di armamento (in Italia le azioni di Leonardo sono cresciute di due punti e mezzo), ma anche qui non ci sono state puntate estreme o cadute importanti in settori speculari. Nessuno degli operatori si nasconde le tensioni legate al braccio di ferro fra Usa e Iran e alla destabilizzazione di tutta l'area medio orientale, ma c'è tutto fuorché panico. E bisogna ricordare che negli ultimi venti anni certo le guerre non sono mancate, e anche atti di terrorismo clamorosi come quello delle Twin Towers, ma gli shock sui mercati sono sempre stati causati dalla crisi del sistema finanziario: prima la Lehman Brothers, poi i mutui subprime e il crollo di alcune banche. Anche oggi c'è più timore per questo che per le conseguenze di eventi bellici. Certo se la guerra dovesse deflagrare in pieno, si ballerà anche sui mercati come ha spiegato ieri l'analista di Moody's Alexander Perjessy, osservando che «un prolungato conflitto avrebbe potenziali conseguenze globali, in particolare tramite gli effetti sul prezzo del petrolio». Per approfondire leggi anche: IL PARLAMENTO IRAQ VUOLE CACCIARE GLI USA Chi avesse anche pochi risparmi da difendere anche per questo non dovrebbe farsi ammaliare dalla possibile crescita del petrolio. Il prezzo a barile in questi casi oscilla paurosamente: nei giorni scorsi era sembrato schizzare verso l'alto fin dalle ore successive all'uccisione di Qassem Soleimani, e anche ieri sui mercati europei aveva aperto in forte rialzo, salvo poi ripiegare e a New York chiudere sì in crescita, ma assai ridotta (0,35%). I record invece in queste ore li stanno facendo due metalli, ma l'origine della crescita è assai diversa fra loro. Ha raggiunto il suo massimo storico il palladio, che a Londra è stato fissato a 1.977 dollari l'oncia. Massimo dalla primavera 2013 anche per l'oro, che dopo avere superato i 1.588 dollari per oncia ha chiuso al fixing a 1.573,1 dollari per oncia. Nell'ultima seduta del 2019 era a 1.517,01 dollari. Il palladio sta facendo boom, ma gli esperti mettono in guardia gli investitori, perché l'offerta è ristretta e la quotazione potrebbe oscillare con facilità essendo pochi i soggetti che la muovono. È l'oro invece il bene rifugio dei tempi di guerra. Lo è stato all'indomani dell'11 settembre, e dopo ogni scintilla di guerra. Ma secondo gli analisti delle principali banche di affari tradizionali la crescita di queste ore non è temporanea, e l'oro presto è destinato a sfondare la barriera dei 1.600 dollari per oncia con una tenuta sostanziale anche nel breve periodo. Lo ha sostenuto ieri ad esempio Jeffrey Currie, capo analista commodities di Goldman Sachs, che ha spiegato come l'oro sia un bene rifugio «più sicuro del petrolio e se le tensioni militari dovesse salire, crescerà ben oltre quota 1.600». Più o meno concorde la maggiore parte dei suoi colleghi. Non c'è comunque da attendersi terribili tempeste finanziarie perché in periodo di guerra come in quello di pace le economie mondiali trovano comunque una loro stabilità, poggiando su settori alternativi: gli Stati Uniti ad esempio hanno una robusta economia militare, e i mercati a stelle e strisce non dovrebbero risentirne se non nel giorno per giorno. I timori sugli investimenti vengono invece ancora una volta dal sistema finanziario, e qui la guerra non conta un granché. Ma se c'è un consiglio da dare agli investitori, è quello di non farsi attirare troppo dalle condizioni di emissione dei bond (obbligazioni), che restano lo strumento più fragile del mercato. Ci sono preoccupazioni sulla tenuta strutturale di molte economie e anche quelle tradizionalmente più solide come la tedesca offrono segnali negativi: ieri è stata ufficializzata ad esempio la performance negativa 2019 del mercato dell'auto, sceso ai livelli del 1996, con una caduta del 13% anche delle esportazioni. Se le economie sono fragili, lo sono anche i loro assi importanti e quando vanno a caccia di liquidità come nel caso di emissione di bond, l'investimento è più rischioso di altri. Oggi però sui mercati internazionali gran parte della liquidità è in mano alle banche centrali di tutto il mondo, e nel loro forziere sono depositati anche gran parte dei titoli di Stato e non pochi bond. Sono loro i soggetti che con più facilità possono muovere i mercati e che hanno l'ombrello più robusto che ci sia per proteggerli. Quindi niente panico, i missili non colpiranno con facilità il vostro portafoglio.

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