Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Ora il rigore tedesco va messo nel cassetto

Il Cancelliere tedesco Angela Merkel

  • a
  • a
  • a

Ci voleva Angela Merkel per riportare la sinistra francese all'Eliseo dopo diciassette anni, e una formazione fascista nel parlamento greco a 38 anni dalla caduta dei colonnelli. Ci voleva il furore rigorista tedesco per provocare negli elettori dell'eurozona un malcontento che ha già causato dieci cambi di governo in nove paesi su 17: Francia, Italia, Spagna, Belgio, Portogallo, Slovenia, Slovacchia, Irlanda e per due volte in Grecia. Mentre l'Olanda andrà alle elezioni anticipate il 12 settembre e fuori dalla moneta unica rischiano i conservatori in Gran Bretagna. Dei sei stati fondatori, solo la grande Germania ed il minuscolo Lussemburgo si sono finora salvati. E tra i maggiori paesi della Ue, soltanto la Germania. Nella Francia alle prese con la disoccupazione, Francois Hollande ha concluso la campagna con il sottofondo di Bella Ciao, come Michele Santoro ad Anno Zero, ma soprattutto ha riproposto i cavalli di battaglia di un gauche di vent'anni fa, dalla pensione a 60 anni all'aliquota del 75 per cento sui super-ricchi: e dire che "Flamby" (budino), così è chiamato Hollande, tra i socialisti francesi era considerato il più centrista. Invece tra i greci stremati dall'austerità lo slogan che ha accomunato estrema destra e comunisti è stato "Fuori l'Europa dalla Grecia, fuori la Grecia dall'Europa". Non è uno scenario da escludere: il capo del partito conservatore Antonis Samaras ha raggranellato meno del 19 per cento, mentre i socialisti del Pasok sono stati umiliati dalla sinistra radicale. Atene rischia l'ingovernabilità, e tutti noi di assistere al remake del film sul contagio greco andato in scena fino a poco fa. Tra gli effetti collaterali dello scontento, se non della rivolta, c'è l'affermarsi alle amministrative delle liste di Beppe Grillo come terza forza della politica italiana, nonché del ritorno di Leoluca Orlando in corsa come sindaco di Palermo. Con il che tutti i progetti a tavolino dei partiti che sostengono Mario Monti rischiano di andare a gambe all'aria, il Pd sente già l'attrazione fatale per le bandiere rosse francesi (come fu per lo spagnolo Zapatero), tutti quanti non sanno come maneggiare la protesta. Lo stesso futuro di Monti nella legislatura è garantito più dalla paura che dalla convinzione. Il futuro è una lotteria. In questa situazione l'Europa dovrebbe lanciare il famoso piano per la crescita. La Merkel e Monti hanno "lasciato trapelare" che ci stanno lavorando da qualche settimana: strano non averci pensato prima, a marzo quando fu firmato il fiscal compact che obbliga ad inserire in Costituzione l'azzeramento del deficit pubblico, e che già Spagna e Francia hanno detto di non voler rispettare, almeno nei tempi. Il paradosso, ma neppure troppo, è che quel trattato imposto dalla Germania non è ancora stato approvato dal Parlamento tedesco, dove la Merkel ha perso la maggioranza al Bundesrat (la camera alta): eppure la cancelliera, facendo buon viso a cattivo gioco alla frana rovinosa dell'asse franco-tedesco, ha già chiarito che il fiscal compact "non si tocca". Questo trattato di rigore fiscale nel mezzo della più grave recessione dalla fine della seconda guerra mondiale ha provocato, oltre alle rivolte degli elettori europei, le critiche di una sfilza di economisti e premi Nobel. Cinque di loro - Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow - hanno rivolto un appello a Barack Obama affinché faccia del contrasto alla politica merkeliana un tema della campagna per la rielezione. "Inserire nella costituzione il pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose" dicono. "Ma anche in periodi di espansione tetti di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica, perché gli incrementi degli investimenti a elevata remunerazione, anche quelli interamente finanziati dall'aumento del gettito, sarebbero ritenuti incostituzionali". Un altro Nobel, Paul Krugman, è andato giù più piatto: "Il pareggio di bilancio in Costituzione può portare alla dissoluzione dello stato sociale". Ed ancora un Nobel, Joseph Stiglitz, in un dibattito a Roma con Monti, ha osservato: "Che cosa c'è alla radice del disastro europeo? Semplice, la Germania attuale". Che sia vista dalla gente o dalla comunità accademica, la situazione appare chiara. L'Europa è un continente sempre più schiacciato sotto il rigore tedesco, e la promessa in corsa di misure per la crescita sembrano una pezza messa in corsa. Del resto, di che si tratta? Obbligazioni per finanziare le infrastrutture di interesse comunitario, potenziamento della Banca europea degli investimenti, utilizzo dei fondi europei: tutte cose che ci sono già. L'Italia avrebbe bisogno di ben altro. Almeno di mettere fuori dal deficit pubblico gli investimenti interni; e di non considerare nel debito i rimborsi della pubblica amministrazione, quegli 80 miliardi che stanno strangolando le imprese. Già, perché l'Europa si è anche inventata questo: i debiti dello Stato verso i fornitori restano fuori dai parametri comunitari finché non vengono rimborsati. Al tempo stesso una direttiva di Bruxelles ne impone i pagamenti in 60 giorni. Nel frattempo i mercati stanno ragionando sul break-up, la divisione in due dell'euro. Per questo ieri ad entrare in allarme sono state le borse asiatiche e Wall Strett, e non Milano o Madrid. La Germania e i suoi pochi alleati tornerebbero al marco; l'euro resterebbe la moneta svalutata di tutti gli altri, Italia compresa e Grecia esclusa. La Bank of England ha già detto da tempo di essere pronta a questa eventualità; mentre Vladimir Putin, appena tornato al Cremlino, pensa ad una Grecia nell'orbita economica e militare della Russia. Molti pensano che a paesi come Francia e Italia converrebbe. Ma è difficile ragionare su progetti di questa portata con l'attuale instabilità politica e leader che non riescono a fare più di un mandato. La Merkel ha detto che accoglierà Hollande a Berlino "a braccia aperte": fossimo il nuovo capo di Stato francese chiederemmo che la visita si svolga all'Eliseo, con i metal detector all'ingresso.

Dai blog