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La grande bugia del Fisco

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Siamo in emergenza fiscale? Certo che sì: non è normale un paese in cui un muratore si da fuoco perché non può pagare le tasse. Però (detto senza cinismo) non è neppure normale che lo stesso povero Cristo abbia un contenzioso di 104 mila euro, non proprio una bazzecola. Non è normale un paese che ha la benzina più cara d'Europa pur con il prezzo netto inferiore a Francia e Germania. D'altra parte non è normale che, andando al distributore, continuiamo a finanziare la guerra di Abissinia del ‘35, la crisi di Suez del '50, il disastro del Vajont del '63, e via andare fino alle ultimissime gabelle: «finanziamenti alla cultura», «emergenza immigrati», «alluvione Liguria e Toscana» e ovviamente il decreto salva-Italia. C'è da incavolarsi, e di brutto? Certo che sì. Ma che dire dei redditi medi dichiarati al fisco dagli italiani nel 2010? Il 49 per cento dei contribuenti non supera i 15 mila euro, un terzo non scavalla i 10 mila. Solo uno su cento dichiara oltre 100 mila euro, e solo lo 0,07 per cento (30.590 persone) ne dichiarano 300 mila. All'altro opposto, 10,7 milioni di compatrioti non versano un centesimo di tasse. Capovolgendo il noto clichè, il reddito medio dei lavoratori autonomi è di 41.320 euro, contro i 19.810 dei dipendenti, i 18.170 degli imprenditori ed i 14.980 dei pensionati. Domanda: ma in che razza di paese viviamo? Siamo nonostante tutto nel G8 e abbiamo ancora una forte industria manifatturiera: ma se sommate il reddito dell'imprenditore a quello del suo operaio o impiegato (per inciso, di 1.500 euro più ricco di lui), non si raggiunge neppure alla lontana la dichiarazione di una classica partita Iva. Ancora. Il Pil procapite, la ricchezza prodotta da ognuno di noi 60 milioni di cittadini, neonati e centenari inclusi, è stato nel 2010 di 34.059 dollari, cioè 24 mila euro: largamente superiore a quel che dichiarano al fisco 40 milioni di contribuenti. Anche qui qualcosa non quadra. Abbiamo il record mondiale di densità automobilistica: 36,3 milioni di macchine, 608 ogni mille abitanti. Distacchiamo largamente la Germania (503 auto ogni mille), che ha redditi dichiarati doppi dell'Italia. Circolano sulle nostre strade 220 mila suv, prezzo medio 50 mila euro; abbiamo 98 milioni di abbonamenti a cellulari con un vendita di 36 mila telefonini al giorno. Finora – ad oggi 31 marzo – abbiamo speso nel 2012 in giochi e lotterie 12,8 miliardi di euro, ma anche 550 milioni in chirurgia estetica. Sarà tutta opera dei 100 mila ricchi e felici? Oppure il nostro fisco è semplicemente sbagliato, oltre che bugiardo? Stentiamo a credere che per riunire tutti i benestanti – quelli con redditi sopra i 100 mila – basti e avanzi piazza San Giovanni; mentre i Paperoni over 300 mila potrebbero anche darsi appuntamento in piazza del Popolo, accomodandosi pure per l'aperitivo. E' vero, abbiamo troppi stipendi scandalosamente bassi. Ma anche parecchie retribuzioni spropositate, specie nelle istituzioni pubbliche. In ogni caso è su questi livelli che agisce il fisco e il sistema contributivo: viene allora da chiedersi che senso abbiano le sovrattasse ed i contributi di solidarietà vari, quando insistono su una platea di alcune decine di migliaia di persone: non sarà solo per dare una sverniciata di equità sociale alle varie stangate? Certo, questa situazione sta in piedi soprattutto grazie a un'economia sommersa che l'Eurispes indica in 540 miliardi di euro, che andrebbero ad aggiungersi a 200 miliardi di economia criminale. In totale, saremmo alla metà del Pil ufficiale. La World Bank è più ottimista, quantificando nel 30 per cento l'incidenza del sommerso; che è del 17 per cento in Germania e sfiora il 20 nei paesi scandinavi. Notoriamente per le statistiche vale sempre il discorso dei polli di Trilussa. Restano quindi i dati. Che ripropongono la domanda: a che serve e quanto può durare la politica fiscale fin qui seguita, governo Monti compreso? Cioè aumentare la pressione fiscale al record del 45 per cento, se questa è la base imponibile? Idem per le famigerate addizionali comunali e regionali, che tartassano Roma in particolare: quanto ci impiegheremo a ripianare il debito del Lazio e quello del Campidoglio? Non solo. Da queste dichiarazioni emerge un paese non solo distante dai suoi consumi e dalle sue abitudini, ma talmente livellato in basso da far scattare una sfilza di agevolazioni che costano allo Stato, e dunque ai contribuenti per bene. Per esempio i famosi parametri Isee che danno diritto a sgravi nella sanità e nelle rette scolastiche, che stabiliscono la precedenza nelle borse di studio o nell'iscrizione dei figli all'asilo. Alla fine, che cosa fare? Attilio Befera, il capo dell'Agenzia delle Entrate, ha messo a punto uno strumento in teoria giusto. Si tratta del redditometro, che parte dai consumi per ricostruire quando dichiarare al fisco. Fondamentale sarà però la sua semplicità, e soprattutto la razionalità: non abbiamo nulla da insegnare, ma l'iscrizione ad una palestra esclusiva, una vacanza e un'auto di lusso, non possono essere messi nello stesso mazzo di una tassa scolastica, un'assicurazione, una spesa medica obbligata. Diversamente diverrà l'ennesima arma dalla quale i furbi si difenderanno facilmente. Inoltre molti dati sono già accessibili al fisco attraverso i conti bancari, le carte di credito, il registro automobilistico. Altro strumento è il catasto. Ma anche qui lascia perplessi l'annunciato allineamento delle rendite ai valori di mercato (chi li stabilisce e che accade quando scendono?); mentre sarebbe sacrosanto proseguire con il censimento delle case fantasma, degli attici in centro registrati come immobili popolari, dei poderi trasformati in ville. Noi però continuiamo a credere nella riduzione delle imposte dirette con l'aumento di quelle indirette. Magari assieme alla detraibilità di tutte le fatture. Se anche (anzi, soprattutto) i finti poveri spendono e consumano, un grande, progressivo e strutturale scambio tra meno Irpef e più Iva può essere la vera soluzione per stanare il sommerso ed avere una foto dell'Italia più credibile. Se invece si tratterà dell'ennesimo tappabuchi di bilancio, continuiamo così.

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