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Perché il Paese non può fallire

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«Too big to fail». Tradotto: «troppo grande per fallire». Il riferimento è alle banche e alle istituzioni finanziarie americane indicate come la causa prima della crisi. La storia è nota: si diceva che i giganti fossero così enormi  da non poter crollare, ma non è stato così; avevano i piedi d'argilla. Da allora nulla è cambiato. Anzi. È appena cominciata l'era del too big to bail (out), ovvero del troppo grande da salvare con i soldi pubblici. E l'Italia è il primo Paese a rientrare in questa categoria. Ecco perché non solo non può fallire, ma non può nemmeno fare la fine della Grecia. Troppi sono infatti i colossi stranieri esposti sull'Italia. Tra le banche sicuramente la francese Bnp Paribas, che qui opera attraverso la controllata romana Bnl, e l'inglese Barclays Bank: le due big del credito sono esposte rispettivamente per 71 e 30 miliardi di euro. Secondo il rapporto della Banca dei regolamenti internazionali (BIS), infatti, la maggior parte dell'Esposizione sull'Italia è concentrata in istituti europei (circa il 90% del totale). Sul fronte della distribuzione geografica troviamo al primo posto la Francia con 392 miliardi di dollari (280 miliardi di euro) seguita dalla Germania (116 miliardi di euro), la Gran Bretagna (47 miliardi di euro), gli Stati Uniti (26,4 miliardi di euro), la Spagna (22) e la Svizzera (12,8). Ma il dato ancora più rilevante è che l'esposizione del Sistema Bancario Globale (foreign claims) sulla sola Italia pari a 262 miliardi di dollari è addirittura maggiore rispetto alle esposizioni su Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna messe assieme. Non solo. Gli analisti di Nomura sottolineano che gli attuali meccanismi di stabilizzazione finanziaria europea (EFSF) sono stati progettati per affrontare il fallimento di paesi relativamente piccoli che possono essere salvati da un gruppo relativamente ampio di Paesi della zona euro. The equation changes for Italy. L'equazione cambia per l'Italia. Attualmente, l'EFSF ha una capacità effettiva di prestito di 320 miliardi su un totale di 440 miliardi, mentre il finanziamento l'Italia per i prossimi due anni supera i 500 miliardi. Il numero di Paesi pronti e disposti a dare una mano Roma sarebbe ridotto a due: la Francia e la Germania. L'onere per i due big dell'Eurozona sarebbe pesantissimo: circa il 10% del loro pil combinato. Non è dunque un caso se attorno alle 15 di ieri è cominciato a circolare il rumor di un possibile downgrade sulla Francia. Così come non è casuale che sempre ieri il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, durante una conferenza stampa al termine del consiglio Ecofin ha gettato acqua sul fuoco della speculazione che ha messo nel mirino l'Italia. «La manovra finanziaria italiana è ambiziosa e i mercati devono prenderne atto con realismo», ha detto Schaeuble. «Non abbiamo parlato molto dell'Italia - ha poi aggiunto - perché noi siamo convinti che il nocciolo della crisi sia la Grecia. In base alle nostre informazioni l'Italia vuole approvare un ambizioso piano di risparmi e non abbiamo dubbi che lo farà». Lunedì scorso il quotidiano tedesco Die Welt aveva scritto che, anche se venisse raddoppiato a 1,5 miliardi di euro, il meccanismo europeo salva-Stati non basterebbe qualora l'Italia dovesse essere in difficoltà. L'Europa può digerire il Portogallo, forse la Spagna, ma l'Italia no. I mercati chiedono che vi sia un quadro politico stabile, in grado di sostenere una strategia di lungo periodo che riporti il Paese su un sentiero di crescita più elevato e mantenga sotto controllo i saldi di finanza pubblica. Ma a spaventare è anche la debolezza della governance europea. Le istituzioni del Vecchio Continente non sono state in grado, in un anno e mezzo, di gestire efficacemente un problema, quello della Grecia, il cui debito rappresenta solo il 3,6 per cento del Pil della zona euro. Cosa succederebbe se l'Italia, il cui debito pubblico è pari a cinque volte quello greco, si trovasse in difficoltà nell'accedere ai mercati finanziari e dovesse rivolgersi ai partner europei per chiedere aiuto? È un'ipotesi che giustamente terrorizza gli operatori finanziari: la politica europea non sarebbe in grado di gestire il problema. Il cancelliere tedesco ha già dato un primo segnale, avvertendo il nostro governo di non fare scherzi con la manovra di finanza pubblica; come dire: dovete contare su voi stessi. A sbilanciarsi in favore di Roma (e contro Washington) è stato anche il Financial Times criticando i mercati che irrazionalmente hanno sopravvalutato i rischi nell'Eurozona per la moneta unica europea, memori di un passato senza euro, mentre hanno continuato a sottostimare il più pressante rischio default degli States, privi nella loro storia di un tracollo delle finanze statali e riferimento con il dollaro degli scambi monetari mondiali dai tempi di Bretton Woods. «Gli attacchi all'Italia sono senza senso» è stata la sintesi del quotidiano finanziario in un'analisi pubblicata nella Lex Column intitolata Spaghetti western. In un clima di timori crescenti sulle piazze finanziarie, il Financial Times ha osservato che «i mercati sono preoccupati per le banche italiane, ma ci sono poche indicazioni di una crisi imminente in una nazione che non ha avuto una bolla immobiliare». Evidenziando la differenza di trattamento riservata dai mercati al nostro Paese e agli Stati Uniti. «Su una sponda dell'Atlantico i mercati stanno rendendo l'eurozona più rischiosa di quanto dovrebbe essere. Sull'altra sponda, stanno trattando gli Stati Uniti come se fossero meno rischiosi di quanto effettivamente siano», spiega il giornale della City ricordando come in Italia, «nell'ultima decade, politici di destra e sinistra abbiano ceduto ai tecnocrati del Tesoro. E ciò dovrebbe continuare, con o senza una forte crescita. Il debito pubblico italiano, al 119 per cento del Pil, è troppo alto ma è destinato a stabilizzarsi il prossimo anno». Sullo sfondo resta la promozione della manovra arrivata anche dal Commissario agli Affari economici Olli Rehn: la Commissione - ha detto il finlandese - guarda con favore al «serio sforzo di consolidamento» dei conti pubblici italiani, che è in linea con l'obiettivo di pareggio di bilancio nel 2014. Quanto alla composizione della manovra, fatta di un decreto da 25 miliardi e di un intervento fiscale da 15 miliardi, «la Commissione sostiene entrambe le misure. Ora seguiremo l'applicazione». Di fatto, l'attacco dei mercati all'Italia ha modificato l'agenda degli incontri a Bruxelles, suonando come un campanello d'allarme per l'intera unione monetaria. Con l'obiettivo di difendere la stabilità finanziaria della zona euro si potrebbe tenere un vertice straordinario dei leader dei 17 Paesi dell'Euro già venerdì, proprio dopo che saranno resi noti gli stress test sulle banche. Se ci saranno banche che non supereranno questo «esame» l'Ue prenderà serie misure. Oltre alle notizie per alcuni versi incoraggianti dal fronte europeo, con dichiarazioni dei ministri finanziari dal tono conciliante, al recupero dei mercati di ieri ha contribuito in maniera decisiva in tarda mattinata il risultato dell'asta Bot. Se il costo della raccolta a dodici mesi ha messo a segno il nuovo massimo da quasi tre anni - ancora una volta del fallimento del gigante del credito Usa - il mercato sembra infatti aver assorbito senza alcuna difficoltà i 6,75 miliardi dell'offerta. Certo, l'appuntamento cruciale è per domani, quando si riunirà nuovamente l'Ecofin per discutere del futuro di Atene, ma soprattutto andrà in scena una nuova asta di Btp a cinque e dieci anni. È quello il vero test della settimana per capire quanto Roma è vicina ad Atene. Ma non sarà una tragedia greca, solo Spaghetti western.

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