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L'Italia deve cambiare

Il presidente americano Barack Obama (S) con l'amministratore delegato di Fiat e Chrysler Sergio Marchionne

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Il miracolo americano puo essere replicato anche in Italia, ma bisogna che «l'atteggiamento cambi». Sergio Marchionne è appena rientrato dagli Stati Uniti dove ha incontrato il presidente Usa, Barack Obama durante la vista allo stabilimento di Toledo in Ohio e sottolinea la differenza di comportamento. Lì ha ricevuto elogi e congratulazioni mentre in Italia continua ad esserci diffidenza se non addirittura critiche all'operazione con Chrysler. Ospite del workshop 2011 del Consiglio per le Relazioni Italia-Usa, l'amministratore delegato della Fiat sottolinea che mentre negli Stati Uniti «la gente ringraziava per quello che è stato fatto» in Italia arrivano solo «insulti». Rassicura sul quartiere generale del Lingotto che, dice, «non sarà spostato da Torino a Detroit». Ma è evidente che oltre Oceano il clima è più favorevole. Tant'è che la questione della sede, «al momento non è sul mio tavolo e la fusione ed il trasferimento degli headquarters non sono prioritari quest'anno» dice Marchionne mettendo quindi un punto interrogativo sul futuro. «Io non voglio essere ringraziato - afferma il manager - ma lo stabilimento Chrysler è stato rilanciato con l'aiuto della Fiat. Se questo lo si può fare in Usa è possibile farlo anche qui in Italia». Ma c'è di piu: «la vera questione è lavorare sulla leadership e l'integrazione. Abbiamo intenzione di fare dei cambiamenti a breve». Il nodo da sciogliere è quello della corporate governance. «Abbiamo bisogno di trovare una soluzione che tenga presente che c'è un'entità negli Stati Uniti che produrrà un quantitativo di automobili pari a quante la Fiat ne produce nel mondo». Poi indica l'obiettivo estivo: rafforzare la posizione della Cinquecento negli Stati Uniti raggiungendo i 160 dealer entro la fine dell'estate dagli attuali 50. Marchionne ha anche rivelato che «la Fiat ha offerto giovedì scorso 125 milioni di dollari per la quota di Chrysler. Si tratta dell'1,7% della quota nella casa automobilistica americana». Quanto al ricorso della Fiom su Pomigliano, il manager è stato chiaro: «Siamo pronti a gestirne le conseguenze». Per la Ferrari resta sempre l'ipotesi della quotazione ma «serve la volontà». Ottimista sull'evoluzione del mercato dell'auto che senza «il turbo degli incentivi s'è svuotato e la domanda è arrivata a livelli naturali: 1,75/1,8 milioni di auto». Marchionne ha anche voluto fare alcune puntualizzazioni circa il rapporto con Confindustria. «Non c'è alcuna ostilità nonostante alcune battute fatte di recente. Dobbiamo salvaguardare l'industria Fiat e assicurare che il piano industriale incluse le norme contrattate con la maggioranza dei lavoratori vengano rispettate. Non posso accettare che l'appartenenza a Confindustria indebolisca Fiat». A stretto giro è arrivata la risposta del vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei. «Siamo pronti ad un accordo in cui i contrtti stipulati con la maggioranza dei lavoratori siano vincolanti per tutte le organizzazioni presenti in azienda». Poi una frecciata: «L'appartenenza a Confindustria non indebolisce la Fiat, anzi la rafforza». E precisa che il Lingotto «come qualunque altra azienda, può essere associata a Confindustria pur avendo un proprio contratto aziendale sostitutivo di quello nazionale». Replica anche da Pd e Cgil. «Adesso Marchionne metta sul tavolo i 20 miliardi di investimenti di Fabbrica Italia» ha rilanciato il capogruppo del Pd in Commissione lavoro alla Camera Cesare Damiano. E la leader della Cgil Susanna Camusso: l'ad renda visibili gli impegni, gli investimenti, i nuovi modelli e le scelte che si fanno.  

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