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Tremonti dà una lezione a Draghi

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti

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Era da tempo che Tremonti aveva voglia di togliersi quel sassolino nella scarpa. Da circa un paio di mesi, esattamente da quella cena a casa di Bruno Vespa per i 50 anni della carriera del giornalista, alla quale lui non fu invitato ma balzò ai riflettori delle cronache la presenza di Mario Draghi. Erano settimane quelle in cui si parlava molto di un governo di larghe intese o di «salute pubblica» e immancabilmente il nome del Governatore della Banca d'Italia veniva fatto dai retroscenisti come quello più probabile a prendere il posto di Tremonti all'Economia. Che sia vero o no, fatto sta che questo evento ha aggiunto altro sale su un rapporto già poco improntato alla simpatia. Così ieri nella giornata conclusiva del Workshop di Cernobbio, il ministro dell'Economia avrebbe voluto prendersi una sorta di rivincita sul Governatore. Draghi il giorno prima aveva dato «lezioni» di politica economica dicendo che l'Italia dovrebbe far proprio il modello tedesco per agganciare la ripresa. Ecco la replica di Tremonti: «dire che bisogna fare come la Germania è superficiale, è roba da bambini». E poi: «Non ci vuole un genio che ci dica che dobbiamo fare come la Germania; abbiamo la seconda manifattura in Europa e sappiamo che il nostro pil è fatto sotto i 100 addetti dove la Germania c'è già» e cioè «intesa come una koinè di capitale e lavoro. Cerchiamo di essere meno superficiali possibili, evitiamo questa retorica», ha precisato. Poi nel pomeriggio Tremonti ha precisato che nelle sue parole «non c'era nessun attacco e nessuna allusione ma era semplicemente un richiamo alla realtà e al buon senso». Il ministro non gradisce neanche sentir parlare di un abbandono del modello britannico. «Quando mai abbiamo fatto come l'Inghilterra?», ha chiesto Tremonti alla platea. «Leviamo questa retorica, il vero problema è quale modello l'Europa vuole seguire. La grande questione è se vogliamo un modello export-led che ci dice, invece, cosa fanno i tedeschi davvero, oppure se vogliamo un modello più equilibrato che contenga anche investimenti pubblici in energia, ricerca e difesa». Il ministro ha poi risposto a quanti prospettano un autunno caldo per l'economia. «Non c'è un'emergenza autunnale ma solo l'esigenza di attuare le riforme». Tremonti ha quindi invitato alla «serietà, perché quando i politici vanno in vacanza - ha detto - altri si mettono a fare politica».   Per il responsabile dell'Economia il ritardo italiano nella crescita è anche dovuto alla particolare situazione energetica del Paese: «Noi competiamo con Paesi che hanno tutti il nucleare, noi abbiamo il costo dell'energia che pesa sulla crescita». Per questo il rilancio del nucleare «non può essere una questione su cui dividersi come guelfi e ghibellini». Quanto a quanti sono critici contro il nucleare, Tremonti avverte: voglio vedere chi avrà il coraggio di dire no, voglio l'eolico. Nel Pil italiano - ha spiegato - dobbiamo inserire anche il calcolo dell'energia importata». Anche Tremonti è intervenuto sulla questione della nomina del ministro dello Sviluppo Economico. Berlusconi dovrebbe occuparsene la prossima settimana, almeno secondo quanto ha detto, e a fronte delle sollecitazioni arrivate da più parti, compreso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.   «Naturalmente è necessario un ministro dello Sviluppo economico», ha chiarito Tremonti, «ma la politica industriale è una responsabilità di tutto il governo. Anzi, ha specificato è una responsabilità di «tutto il governo, tutto il Parlamento, tutto il paese»: «Io inviterei - ha aggiunto - a essere un po' meno dialettici e meno superficiali in queste discussioni. Ad esempio quando si dice che serve una politica industriale. L'ultima volta che è stata fatta una politica industriale negli anni 70 - ha spiegato Tremonti - si fecero schede di politica, si decretò maturo il settore della moda e dell'arredamento, per dire la lungimiranza della pianificazione industriale». Quanto al ministro dello Sviluppo Economico, è ovvio che serve, arringa Tremonti, «ma se anche c'è un ministro, la politica industriale la dovrebbe fare tutto il governo, tutto il Parlamento, tutto il Paese».

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