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L'ira di Marchionne sui sindacati

L'ad Fiat Sergio Marchionne

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«Basta prendersi per i fondelli». Sergio Marchionne abbandona le mezze misure e picchia duro sui sindacati in attesa dei risultati del referendum che si terrà martedì tra gli operai di Pomigliano. E che deciderà il futuro dello stabilimento. Lo scontro tra il numero uno della Fiat e una parte dei rappresentanti degli operai è continuato anche ieri. E ha raggiunto un nuovo picco di tensione. L'occasione per lo sfogo di Marchionne questa volta è stato lo sciopero di lunedì degli operai di Termini Imerese. Una protesta che non aveva nessuna ragione di rivendicazione salariale o di orario. Ma solo il fatto che lo stabilimento non aveva preparato i maxischermi per vedere la partita dei mondiali tra Italia e Paraguay. «L'unica ragione era che stava giocando la Nazionale italiana», ha tuonato il manager. E ha rincarato la dose: «Come lo hanno fatto a Termini, lo hanno fatto a Pomigliano, lo fanno tutti gli altri stabilimenti italiani». Concludendo con un aut aut: «O facciamo il nostro lavoro seriamente o se no la Fiat non è interessata. Cerchiamo di smetterla di prenderci per i fondelli». Parole che non lasciano alternative, e che fanno capire che i vertici del Lingotto si stanno stancando delle discussioni «interminabili» di questi giorni, che, come ha minacciato Marchionne, rischiano di «ammazzare» l'industria manifatturiera nel Paese, non solo la Fiat. E per di più nel momento in cui l'azienda di Torino sta portando avanti un progetto «senza equivalenti» in Europa: cioè riportare in Italia la produzione della Panda, fino ad oggi assemblata in Polonia. Una decisione coraggiosa, quindi, messa in crisi da principi e ideologie «che ormai non hanno più corrispondenza con la realtà». Il manager ha usato parole pesanti soprattutto nei confronti dei metalmeccanici della Fiom, gli unici a non aver firmato la settimana scorsa l'accordo proposto dai vertici aziendali. Con un comportamento nel corso delle contrattazioni che ai suoi occhi è sembrato «completamente sballato». Quella della sigla Cgil è una linea nella quale per l'ad non è possibile riconoscersi, perché parla di «mondi diversi», di una azienda che «non è la Fiat che gestiamo noi, non è la Fiat che esiste». La risposta della Fiom è stata altrettanto dura. «Si vergogni», ha attaccato il segretario Giorgio Cremaschi. E ha messo in discussione le capacità e la leadership di Marchionne: «Se ci riesce impari a fare l'imprenditore per tutti quegli industriali meno famosi e ricchi di lui che riescono a farlo in Italia rispettando leggi, contratti e Costituzione». La parola passa ora ai lavoratori della fabbrica campana. Martedì dovranno votare per decidere se accettare il piano industriale da 700 milioni di euro proposto dai vertici dell'azienda, mentre circolano voci su pressioni esercitate dai capireparto affinché gli operai dicano sì all'accordo per salvare lo stabilimento. Una scelta decisiva, quindi. Come si può intuire dalle parole del presidente della Fiat John Elkann, che ieri ha detto: il 22 «sarà sicuramente un giorno importante».

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