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L'euro scivola in fondo

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FrancescoAlfani Il venerdì nero dei mercati ha una vittima illustre. La moneta unica europea, abbandonata dagli investitori, scivola in basso, mentre i governi dell'Unione vedono profilarsi all'orizzonte lo spettro della deflazione. La caduta dell'euro fa rumore, perché più giù di così la nostra moneta era andata solo nel pieno della tempesta finanziaria di quasi due anni fa, all'apice della crisi dei mutui subprime e sotto i colpi del fallimento di Lehman Brothers e della nazionalizzazione dei due colossi delle assicurazioni americane Fannie Mae e Freddie Mac. Nelle ultime ore di ieri l'euro quotava 1,2392 sul dollaro, dopo aver aperto alla mattina sulla piazza di Tokyo a 1,2544. Una svalutazione di oltre il 12% nell'arco di poche ore che ha bruciato miliardi di capitalizzazione, spinta da una miscela esplosiva di preoccupazioni politiche, dichiarazioni del mondo della finanza e anche manovre speculative. Il piano per il salvataggio della Grecia non ha convinto banche e operatori finanziari, preoccupati dalle difficoltà degli altri paesi dell'Europa mediterranea, Portogallo in testa. Il timore del contagio ha avuto subito un effetto sugli spread tra le obbligazioni emesse dai governi dei Pigs e i bund tedeschi, con la conseguenza generale di indebolire sul mercato la maggior parte dei titoli denominati in euro. Un segno implicito di sfiducia nella moneta unica, a cui gli investitori hanno preferito attività più sicure come l'oro. Intanto dal Fondo Monetario Internazionale arrivano nuove indicazioni sulla tenuta dei conti pubblici dei paesi europei. Nel suo Fiscal Monitor Report il Fondo ha messo in guardia i paesi ricchi dall'eccessiva accumulazione del debito, che potrebbe causare una riduzione della crescita del prodotto interno lordo dello 0,5% all'anno. Per rimettere in ordine i conti occorre agire, dicono da Washington, «in modo deciso e significativo» soprattutto su due fronti: pensioni e sanità. Per l'Italia il giudizio è a due facce. La spesa pensionistica secondo l'Fmi è stata messa sotto controllo grazie alle misure adottate dagli ultimi governi, che faranno salire gli oneri dello Stato di soli 0,7 punti percentuali nei prossimi trent'anni. Diverso il giudizio sul sistema sanitario: qui la spesa salirà secondo le previsioni dal 6,3% del Pil nel 2010 all'11,% nel 2050. Una dinamica comunque più virtuosa di quelle di Francia e Germania, che nello stesso anno registreranno una spesa sanitaria rispettivamente pari al 14,6% e al 14,4% del prodotto interno lordo. Ma che deve mettere in moto il governo. Anche perché a questi ritmi il debito pubblico nazionale è destinato a crescere già nei prossimi cinque anni fino al 124,7% del Pil nel 2015. Per contenere il debito e riportarlo alla quota del 60% del reddito nazionale entro il 2030, come richiede il trattato di Maastricht, all'Italia serve una crescita del 4,1% fra il 2010 e il 2020. L'aggiustamento richiesto all'Italia è decisamente inferiore a quello richiesto alla Francia (8,3%) e in linea con quello tedesco (4%). Ma se non si adottano politiche credibili, ammonisce l'Fmi, l'aumento dei tassi di interesse potrebbe rendere troppo onerosi gli sforzi di risanamento.

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