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Il modello Italia resiste alla crisi

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Ilbicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Come interpretare i dati che emergono dal 43esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del nostro Paese? Perché è innegabile che, a dispetto di tutte le cassandre nazionali, il modello italiano, fondato sull'istituzione familiare e le piccole-medie imprese, ha retto agli scossoni della recessione mondiale meglio di quanto ci si poteva aspettare. La società italiana «barcolla» ma non molla, è in affanno anzi «in apnea» in attesa che la crisi passi. Ma per uscire dal tunnel non basta la «resistenza». Serve un ritorno alla politica vera, alla dimensione collettiva (all'aggregazione?) cose che si sono perse negli ultimi anni in nome «della soggettività, del fai-da-te, del primato dell'opinionismo sui fatti». In fondo ce la siamo cavata grazie ai nostri tradizionali punti di forza: il primato dell'economia reale, l'aggancio delle banche al territorio, la piccola impresa, la protezione del mercato del lavoro, il sostegno delle famiglie. Ma è giunto il momento di rimboccarsi le maniche perché più di un milione di famiglie italiane è in condizione di «povertà alimentare» (pari al 4,4% del totale), con un divario territoriale enorme tra Nord e Sud. La crisi ha spazzato via più di 760 mila posti di lavoro in un anno, colpendo soprattutto i lavoratori autonomi e il «paralavoro», cioè contratti a termine, collaborazioni a progetto e occasionali. Un terzo dei nuclei familiari, comunque, riesce ad arrivare a fine mese con fatica e «in apnea». Magari intaccando i risparmi oppure chiedendo un prestito. Oltre l'83% delle famiglie negli ultimi 18 mesi ha modificato le proprie abitudini alimentari, con un 40% che ha contenuto gli sprechi. Il 18,6% fa regolarmente ricorso a prodotti low cost. E il 35% delle famiglie ha eliminato dal budget alcuni prodotti troppo «pesanti»: l'11% ha rinunciato alle sigarette: troppo care. L'Italia è al sesto posto in Europa per peso dell'imposizione fiscale sul Pil, con un'incidenza del 42,8% a fronte di una media europea del 39,8%. Però solo il 2,2% dei contribuenti (893.706 in valore assoluto) dichiara un reddito che supera i 70.000 euro annui; mentre circa il 50% presenta redditi che non vanno oltre i 15.000 euro e il 31% dichiara tra 15.000 e 26.000 euro.

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